Philippe Daverio in una puntata di Passepartout del 2003 parlò di Gabriele D’Annunzio, riproposta oggi, nulla ha perso del fascino di un viaggio culturale attraverso quell’Italia che idolatrò il Vate. Tutto ruota attorno all’accumulo di paccottiglia. La sua ragione di vita. Gabriele D’Annunzio, figura ormai obsoleta che solo il tradizionalismo della scuola mantiene in vita, è uno sconosciuto ai più, eppure il Vittoriale fa 250.000 presenze annue. A Gardone (Brescia), sulle sponde del Lago di Garda sorge il Vittoriale degli italiani la casa-rigugio del buon ritiro del poeta.
Il Vittoriale, non è mai stato proprietà di D’annunzio, lo prese in affitto dall’Opera dei Combattenti che lo aveva avuto dopo la confisca dei beni nemici, per 600 lire al mese e qui vi passò gli ultimi diciotto anni della sua vita e forse influenzò la scelta del Duce di venire nel Comune vicino, Salò, per porvi la capitale catartica del fascio. Siamo nell’Italia del 1936, il Vate ha 73 anni, è al culmine della gloria, all’architetto locale Gian Carlo Maroni gli ultimò l’edificio, il palazzo dai mille crepuscoli, con un esterno quasi metafisico così diverso dall’interno, pieno di oggetti, di stanze, di libri e di bagni con lavandini che anticipano il gusto degli italiani degli anni ’60/70. Staordinario il design, modernissimo, dei sanitari, colori scuri e una quantità infinita di paccottiglie che firmano l’ambiguità di Gabriele D’Annunzio. Ceramiche souvenir sopra i rubinetti dell’acqua calda e fredda, busti accanto a ceramiche orientali, boccette di profumi, calchi in marmo o in gesso dei capolavori d’arte di tutte le età e di tutti gli stili e una quantità infinita di spazzole per capelli, per un calvo!
Rigattiere o collezionista? Trattasi di cattivo gusto o di fantasia al potere? In realtà questo è il regno di un feticista. Un tenebroso esteta che dedicò la prima parte della sua vita all’arte e all’amore e la seconda soprattutto alla patria. Riversò anima e corpo nel dramma della guerra e, seguendo i dogmi della religione del rischio, partecipò ad azioni eroiche e imprese pericolose. Sostenne con i suoi scritti, con i suoi proclami gli ideali patriottici e lo spirito nazionale. Di se stesso scrisse: ” Io ho il temperamento e per istinto il bisogno del superfluo, l’educazione estetica del mio spirito mi trascina irresistibilmente al desiderio e all’acquisto delle cose belle”. Cose belle esibite in una perenne penombra che si rifanno la mito aristocratico dell’800 dove le collezioni erano il simbolo del potere. Un gusto esposto, ammirato e forse invidiato in un succedersi di stanze, chiuse nella penombra di vetrate e giochi di luce sofisticati, in una galleria infinita di oggetti rimasti intatti dall’epoca in cui furono posti. Nel suo complesso di vie, piazze, edifici, parchi, giardini, corsi d’ acqua, ponti, garage, cimiteri, il Vittoriale vuol essere una sorta di mausoleo che D’Annunzio erige a estrema rivelazione di sé, curandone i minimi particolari. Stanze, bagni, vestiboli e stanzoni dove si rispetta sempre l’atmosfera obbligatoriamente fotofobica. Tutto è rimasto come lui l’ha voluto.Questa casa è un accumulo di oggetti e di libri sparsi ovunque con una logica propria e con funzioni diverse. Si entra nell’altro mondo d’annunziano, la stanz
a di lavoro dello scrittore, l’Officina, quello che chiede al visitatore l’inchino ( un alto gradino costringe i visitatori, a chinare il capo, un gesto di riverenza a cui si sottoponeva, nell’accingersi alla scrittura, lo stesso d’Annunzio, mai umile davanti alla vita, ma umile dinanzi al “mistero” dell’ arte), il mondo della cultura e del sapere. Fonte di ispirazione e riferimento che impressionano il visitatore per la quantità. Una immensa presenza di libri, specchio della cultura dannunziana, tra fotografie della mamma e della fidanzata, “la Duse” e l’esaltazione dell’immagine, quella sua. La biblioteca- studio come teatro esibitorio in un’ Italia che leggeva poco. E da qui sono passati Ungaretti, Paul Valery, Marinetti, Debussy, il meglio dell’intellighenzia dell’epoca e ovviamente, Eleonora Duse, la grande attrice scomparsa nel ’24, che fu forse per d’Annunzio l’amore ricambiato, più grande, come dimostarno le sue parole : ” Prima non esistevo. Se trovo un’estasi in scena è perché mi ricordo di lui. Se ho un’inflessione di voce che fa fremere il pubblico è perché mi ricordo di lui. e infine trovo alle cose vive ancora u fascino perché mi ricordo del giorno in cui le ho viste attraverso il suo sguardo”.D’Annunzio depone le vestigia dell’eclettico, ardito, esteta dal vivere inimitabile in quell’area delimitata da vaste mura del paese di Gardone sulle rive Bresciane costruendo attorno al suo mito una piccola città museo e il Vittoriale aiuta con il suo fascino ad avvicinare il visitatore anche emozionalmente a questo uomo. Poeta della sensualità, dell’animalità, della sovrabbondanza degli umori e dell’identità tra atto sessuale e atto creativo. E qui spirò nel 1938 il decadentista eppure futurista , il pensatore profondo e poeta, quando esser poeta voleva dire essere potente, colui che fece della sua vita quello che si fa con un opera d’arte, e questo può bastare.