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Ritorno a Londra

Creato il 25 marzo 2012 da Albix

Ritorno a LondraPROLOGO

Quell’anno ero tornato sulla strada a lavorare per la B.B.C., una società che, a parte le iniziali della sua denominazione,  non aveva nient’altro da spartire con la   televisione di stato  britannica. La Brian Brook Company, infatti, non  affliggeva la gente con noiosissimi polpettoni serali, né  raccontava spudorate  bugie sugli avvenimenti politici nazionali e internazionali, né tanto meno ficcava il naso nelle vicende della vita della regina e della famiglia reale in genere.

La Compagnia  per la quale lavoravo, deliziava invece il suo pubblico con la vendita di gelati e bibite, appoggiandosi logisticamente ad una catena di negozi di souvenirs, dolciumi e tabacchi,  strategicamente dislocati in diversi punti di quella grande area londinese nota con il nome di West End.

Questa vasta e famosa area metropolitana londinese, la quale include anche  il quartiere di Soho e numerosi piccoli e grandi parchi,  è delimitata da un perimetro   che si snoda sulle importanti strade di Oxford Street, Charing Cross Rd, Shaftesbury Av e  Regent’s Street formando un trapezio irregolare i cui quattro vertici passano  da Tottenham Court Rd a Oxford Circus; da lì sino a Piccadilly Circus per chiudersi infine a Leicester Square, ad un passo da Trafalgar Square, dove la statua dell’ammiraglio Nelson, secondo il probabile intento delle autorità pubbliche che la vollero così elevata, dava il suo monito di grandezza e di gloria a tutti coloro che da lì sarebbero passati, francesi , stranieri e britannici di tutto l’Impero.

Certo in quegli anni, la grandezza e la gloria dell’Inghilterra, dopo il quasi totale disfacimento dell’Impero britannico sembrava più remota e lontana della statua del grande condottiero dei mari, tanto più che la nostalgia (e quella della grandezza non fa eccezioni) è un sentimento che si manifesta  più acutamente nel momento in cui, passato il tempo migliore (o presunto tale) subentra inevitabile una crisi. E che la Gran Bretagna fosse in crisi, sul finire degli anni settanta del ventesimo secolo, apparve chiaro subito anche a noi “street’s traders” che, vivendo letteralmente tra la gente, avvertivamo gli umori del cittadino medio in maniera emotivamente diretta.

Per strada si percepivano malcontento e nervosismo, anche se i guai veri e propri dovevano ancora arrivare, di lì a poco, con l’irresistibile ascesa al potere dei Conservatori capeggiati  da  Margareth Tatcher (divenuta nota nel prosieguo con il soprannome di “Lady di Ferro”), che avrebbe segnato la fine di un ciclo nella vita amministrativa londinese,  caratterizzato da una politica  di tradizionale garantismo  delle libertà   democratiche e dalla simpatia a favore delle classi sociali più deboli.

D’altronde,  la metropoli inglese,  aveva rappresentato sin dal sorgere dei primi gruppi musicali  di liberazione e protesta (nati sull’onda del movimento americano degli  hippies, noto anche con il nome della “beat generation”) un deciso punto di riferimento culturale, contribuendo a fare  di Londra la Capitale del Movimento Rock, dove i  profughi delusi dall’illusione della fallita rivoluzione giovanile del ‘68,  cercavano un rifugio sicuro in fuga dal riflusso della reazione che in tutto il mondo ad essa era subentrata.  Ed era proprio lì,  a Londra, che ancora riuscivano a scorgerne gli ultimi sprazzi di fulgore,  prima del suo definitivo tramonto.
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Così, di buon grado, accettai di riprendere il mio posto e di vendere bibite e gelati nella strada, ai passanti di tutto il mondo, con a lato  una macchina refrigeratrice che trasformava il latte in gelato ed una macchinetta erogatrice di aranciate e limonate; e con indosso un lindo grembiule.
dalle capaci tasche frontali, legato attorno alla vita.

D’altronde come avrei potuto lasciare la strada? E per fare che cosa? Forse per ammuffire in qualche ufficio con l’aria condizionata in estate, il riscaldamento in inverno, e la puzza di scartoffie sotto il naso?
Non c’era altro mondo per me, oramai, se non quello; non altro destino, non altra vita avrei potuto desiderare,  se non quella libera degli “street’s traders”.

Tornare nella strada, significò così per me rivivere sin dall’inizio la mia avventura in quella città misteriosa e affascinante che a torto e superficialmente, viene troppo spesso reputata fredda  e inospitale, considerando anche che gli  Inglesi   mai o quasi mai entrano in contatto diretto con i visitatori.

Questa storia è  dedicata a Londra ed ai cari luoghi ove ho vissuto in particolare, ma è altresì dedicata a tutti i popoli che quei luoghi, con tanta varietà e vivacità, animarono in quegli anni e che di seguito attraverseranno la scena  principale del romanzo: le strade di Londra.

…continua…


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