Ciclo maldoniano
“La radio augurava il buongiorno a Mario T, preannunciandogli pioggia e il rilascio di 300 prigionieri palestinesi in cambio di un soldato israeliano. La sua reazione fu un clic di addio alla piccola compagna tecnologica, mentre con mano assonnata si accendeva una sigaretta: la strada scorreva ingombra di ferro e carne, giù giù fino a via Zanzotto”.
Nel mattino della cattura spazio-temporale era così che doveva apparire il nipote di Tzozius, nella sua bellezza terrena: capelli neri ondulati, riga a destra, giacca grigia, Marlboro nel taschino sinistro, scarpe scure opache. Un morbido bisogno di fuga dipinto negli occhi impiegatizi, quasi il presentimento di un destino elettrico:
lievi scosse turbavano dall’infanzia Mario T.,
scosse alle punte dei piedi quando andava bene,
in altre zone meno nobili quando la sorte lo derideva.
Non fortunato con le donne,
buon bevitore,
scarso negli sport individuali,
lievemente misantropo.
Il ritratto maldoniano dell’”esule inconscio”. Li chiamano così, i terrestri che annualmente le Macchine catturano durante le loro orge spazio-temporali: chè per loro è come far l’amore con dei cavi sepolti sul fondo dell’oceano: se li ficcano ben bene nei loro meccanismi perversi e ne traggono carne umana per il loro gigantesco esperimento.
tutto si svolse come sempre
un telo nero ricoprì i sei vetri della Renault di Mario
lui frenò, fece come per schiantarsi
ma tutto si svolse come sempre
nessuno schianto nessun rumore
porte bloccate
il sonno
quattro ore nel nulla dello spazio-tempo
in compagnia di neutrini ballerini e sogni di baldracche
Poi l’atterraggio: come al solito brusco, di fronte al cartello con su scritto: “Be_<="" istantaneamente="" l’anima="" ma_donia_”.="" come="" il="">
(continua)