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Rivoluzione civile

Creato il 02 gennaio 2013 da Casarrubea
Orlando, Ingroia, De Magistris

Orlando, Ingroia, De Magistris

Non è neppure nato che già è oggetto di polemiche e scissionismi il nuovo movimento politico che vorrebbe costituire una possibile alternativa elettorale all’ambidestra coalizione filo bancaria di Monti & Co (quella che va da Berlusconi a Bersani passando per Casini e Vendola): la lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia. L’unica alternativa possibile per chi vuole opporsi alla dittatura del capitale senza scadere nello squadrismo parolaio dei seguaci di Beppe Grillo, diciamolo. L’unica possibilità di riportare in Parlamento, in quel Parlamento vilipeso, sputtanato, ridotto a mera rappresentanza di poco più di niente, esautorato dalle proprie competenze e non più rappresentativo della cittadinanza; di riportarvi un’opposizione politica che possa difendere gli interessi di chi è tagliato fuori dalle logiche dello strapotere bancario.

Mentre da un lato i partiti dell’opposizione (parlamentare come l’IDV, extraparlamentare come la Federazione della Sinistra) cercavano di costruire un’intesa elettorale il più larga possibile, da un altro lato si coagulava il movimento arancione di De Magistris ed altri sindaci, e da un terzo lato si aggregavano, prima in Alba e poi nella sigla Cambiare si può, stimolati dal quotidiano Il Manifesto, una serie di personalità della cosiddetta “società civile” (un termine che personalmente non mi è mai piaciuto, perché dovremmo essere tutti civili, tranne i militari… ma è vero che io sono una ipercritica), allo scopo di creare una compagine elettorale svincolata dai partiti e che candidasse solo rappresentanti dei vari movimenti.

Quando, ad ormai meno di un mese dalla scadenza della presentazione delle liste, Antonio Ingroia ha sciolto la riserva accettando di candidare come leader della Rivoluzione Civile, e si sono fatti i nomi dei probabili candidati, i rappresentanti di Cambiare si può hanno ritirato il sostegno alla lista perché tra di essi vi sono anche rappresentanti dei partiti che hanno sostenuto fin dall’inizio il progetto politico.

Ora, come al solito, mi domando perché a sinistra dobbiamo sempre farci del male. Ho apprezzato molto l’intervento di Antonio Bellavite, a Trieste, che diceva che i movimenti ed i partiti non possono correre separati, perché hanno gli uni bisogno degli altri, e non comprendo la chiusura censoria degli “intellettuali” di Cambiare si può nei confronti dei rappresentanti politici dei partiti. Come se gli esponenti di questo raggruppamento fossero tutti estranei alla politica, non avessero mai militato in alcun partito, si fossero svegliati ieri scoprendo di voler cambiare la società.

Anche questo è uno dei danni dell’antipolitica che imperversa da tempo, quella propaganda negativa che ha accomunato, di fronte all’opinione pubblica, tutti i politici come persone di per se stesse disoneste, desiderose solo di occupare uno scranno, una carica, farsi i soldi e gli affaracci propri. Una propaganda calunniosa e diffamatoria nei confronti di tutti quei politici (e non sono pochi) che hanno scelto quella strada non per incassare soldi per se stessi (nei partiti comunisti gli eletti hanno sempre devoluto gran parte dei loro compensi per il mantenimento della struttura e per l’attività politica – che costa, lo dobbiamo ricordare? – del partito in cui militano) ma per rendere un servizio alla collettività, partecipare all’amministrazione della cosa pubblica, migliorare la legislazione per i diritti dei cittadini, rappresentare gli interessi della popolazione ai più alti livelli dello Stato.

Perché buttare sterco anche su queste persone, non considerando che non tutti i politici sono uguali? E, polemicamente parlando, dove finisce la società civile e dove inizia il politico? Io che scrivo non sono iscritta ad alcun partito, ma, oltre a potermi considerare un’intellettuale (come giornalista e ricercatrice), sono anche militante in vari movimenti di base, dalle lotte sociali alle lotte ambientali, ai diritti civili, alla solidarietà internazionale. Appartengo alla “società civile” o sono una politica? Io mi ritengo politica, perché oltre ad esporre le mie idee per iscritto, le porto in piazza e nei dibattiti pubblici, ne parlo con gli amministratori locali che mi capita di incontrare e, se fossi eletta in un consesso, farei altrettanto. Cosa farebbe di diverso un rappresentante della “società civile”?

Per questo ho letto con molta tristezza la chiusura settaria degli esponenti di Cambiare si può, persone nelle quali peraltro, conoscendo il loro lavoro, avevo una discreta fiducia.

Vorrei dire soltanto che qui non si tratta di giocare a chi è il più puro tra i puri; che qui, parafrasando una vecchia massima, o si fa l’opposizione in Italia o si muore, perché oggi è indispensabile portare in Parlamento delle persone serie ed in grado di combattere, almeno in parte, la dittatura bancaria che ha bisogno solo del plebiscito della triplice intesa (Monti-Bersani-Berlusconi) per terminare di distruggere quel poco di democrazia che è rimasto nel nostro Paese, per evitare di precipitare in un nuovo tipo di fascismo, quello che sta avanzando grazie alle scelte dei governi degli ultimi anni ed all’indifferenza della maggioranza degli Italiani.

E non rendersi conto che far fallire, per un puntiglio ideologico, questo tentativo di alternativa politica nel quale persone di tutto rispetto hanno messo in gioco la propria credibilità, significa che non si è capito nulla di quello che sta accadendo oggi in Italia e nel mondo. Vogliamo crescere, come sinistra, o rimanere sempre a livello dell’infantilismo settario che ci ha finora impedito di ottenere dei risultati concreti?

Io, personalmente, sto con la Rivoluzione Civile di Ingroia. Può darsi che non si riesca ad ottenere dei risultati, e se ne prenderà atto: ma sarà una sconfitta per tutta la sinistra, soprattutto per quella sinistra che avrà preferito restare alla finestra a guardare piuttosto di venire a patti con gli altri.

Claudia Cernigoi

Gennaio 2013


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