Prodotto perfettamente in linea con lo stile di Mattei, sceneggiato da Rossella Drudi ed arricchito dalle partiture aggressive di un ispirato Al Festa. Derivativo e caratterizzato da un’azzardata ibridazione dei più noti blockbuster del tempo (Predator, Robocop, Terminator e Rambo), Robowar brilla di luce propria grazie alla sottile autoironia, che lascia costantemente intravedere un inconfessato intento parodistico nei confronti di una cinematografia – l’action movie americano, tutto testosterone ed esplosioni – evidentemente barocca.
“Una pattuglia agli ordini del capitano Black viene inviata nelle foreste del sud-est asiatico infestate dai guerriglieri per recuperare o distruggere Robowar, un robot da combattimento sfuggito al controllo del dottor Mascher, lo scienziato che lo ha creato. Mascher, che è al seguito della spedizione, in realtà, non intende affatto fermare la sua macchina volendo, nella sua mente esaltata, dimostrare che contro di essa anche i più esperti combattenti devono soccombere. Gli uomini del capitano vengono, infatti, trucidati uno ad uno e Mascher, anche lui colpito a morte, prima di morire rivela a Black che Robowar è un cyborg, un’armatura d’acciaio nella quale ha trapiantato il cervello di un veterano del Vietnam tra i più esperti in azioni di guerriglia”
Attori giganteschi (in termini di stazza) ed armati fino ai denti, dialoghi con innumerevoli battute cult, un robot micidiale (che i fratelli Paolocci otterranno modificando una tuta da ed un casco da motociclista!) e su tutto adrenaliniche scene d’azione segnate da un generoso quanto improbabile consumo di proiettili ed esplosivi. Tutto questo rappresentava la preziosa ricetta della factory Mattei che, con un centesimo del budget dei modelli di riferimento, sfornava pellicole spesso più riuscite e soprattutto più divertenti dei titoli dai quali prendeva spunto.
Girato nelle Filippine e subito venduto in tutto il mondo, è anche conosciuto come Roboman o Cyber Robo.
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