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Rocco Chinnici (1983-2014)

Creato il 29 luglio 2014 da Funicelli
Nel suo bel libro di mafia, Salvo Palazzolo parla di "pezzi mancanti", riferendosi agli oggetti sottrati da qualche manina sui luoghi degli omicidi di mafia.
Si parla dell'agenda di Borsellino, gli appunti di Peppino Impastato, i files di Giovanni Falcone, la relazione di Pio La Torre, le bobine con la telefonata tra Vito Guarrasi e Nino Salvo ..).
Perché oltre alla verità, sui delitti di mafia, deve sparire anche la storia delle vittime, le loro parole, quello che avevano scoperto, i loro segreti.
Nel caso del capo dell'ufficio istruzione Rocco Chinnici (ucciso da un'autobomba a Palermo il 29 luglio 1983) ad essere sparite sono le carte del processo, come hanno scritto domenica i due giornalisti Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco il 27 luglio scorso:

"Questa è la storia di un fascicolo scomparso dentro la procura di Palermo e dimenticato per 15 anni. Un fascicolo trasmesso nell’estate del ’98 dal gup di Reggio Calabria, dichiaratosi “incompetente’’ a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in mafia e corruzione di un imputato eccellente. È la storia dell’indagine sul presidente della Corte d’Assise d’Appello di Messina Giuseppe Recupero (già deputato regionale del Psi nella VII legislatura), accusato di aver intascato duecento milioni di lire per salvare dall’ergastolo i boss Michele e Salvatore Greco, nel processo concluso il 21 dicembre dell’88 per la strage Chinnici, il primo episodio di terrorismo mafioso a Palermo".
Qual'era la colpa più grande del capo ufficio istruzione Rocco Chinnici? Voleva colpire i patrimoni dei mafiosi, mettere il naso dentro i loro conti, aprire fascicoli sugli imprenditori mafiosi.
Mettere sotto accusa un pezzo del potere economico-politico-mafioso in Sicilia

«La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. [...] La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere. Se lei mi vuole chiedere come questo rapporto di complicità si concreti, con quali uomini del potere, con quali forme di alleanza criminale, non posso certo scendere nel dettaglio. Sarebbe come riferire della intenzione o della direzione di indagini.»
E' a Rocco Chinnici che dobbiamo la creazione del pool, poi ripreso da Caponnetto, l'intuizione del terzo livello:
Certe cose a Palermo non bisogna dirle. Anzi è consigliabile, per essere «apprezzati», negarle smentirle. Invece Chinnici andava a ruota libera, pensava ad alta voce. E pensava anche – dimostrando in questo un'incoscienza senza pari – che il terzo livello esiste, e che senza il terzo livello la mafia che spara, che fa le stragi, che taglieggia popolazioni intere, non avrebbe motivo d'esistere. Spiegò pochi giorni prima della sua morte: «c'è la mafia che spara; la mafia che traffica in droga e ricicla soldi sporchi; e c'è l'alta finanza legata al potere politico (..) Stiamo lavorando per arrivare ai centri di potere più elevati». Se l'avessero lasciato fare avrebbe certamente raggiunto l'obiettivo.
Tratto da Venticinque anni di mafia - Saverio Lodato: capitolo “Beirut? Belfast? No, Palermo”. Pagine 133-134

Nei suoi diari, pubblicati da l'Espresso, Chinnici annotava alcuni fatti straordinari del suo lavoro: come le pressioni ricevute dall'ex procuratore capo di Palermo, Pizzillo «Ma cosa credete di fare all'ufficio istruzione? La devi smettere Chinnici di fare indagini nelle banche, così rovini tutta l'economia siciliana .. ».
O anche «A quel Falcone, caricalo di processi, così farà come ogni giudice istruttore: non farà più niente».
Infine quest'ultima annotazione: «Pochi mesi prima di essre ucciso, Mattarella fece un viaggio a Roma con due funzionari della regione per incontrarsi col ministro dell'interno [Rognoni]. Al ritorno a Palermo Mattarella confida ai due funzionari: “Se qui si sapesse cosa ho detto al ministro mi ammazzerebbero”». L'episodio era stato riferito a Chinnici proprio dai due funzionari, ma questo, seppur presente in un rapporto di polizia giudiziaria, era sparito dai dossier successivi all'uccisione del noto uomo politico siciliano.

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