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Roland Macchine e Animali: il reportage

Creato il 06 ottobre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Roland Macchine e Animali: il reportage

Pubblicato da Andrea Marzella Roland Macchine e Animali: il reportageCi vediamo a Baden-Baden!: con questa battuta ho capito quanto Roland Macchine e Animali fosse lontano dalle cose che riempiono una giornata qualsiasi, dal caos dei centri commerciali alla noia dei bus affollati. Un dibattito era appena finito, molti si stavano alzando per dirigersi verso il bar e, mentre mi infilavo la giacca, ho sentito qualcuno alle mie spalle dire: “Ci vediamo a Baden-Baden!”. Non so cosa volesse dire, non so a chi fosse rivolta e non sono nemmeno sicuro che fosse una battuta, ma lì per lì l’ho trovata arguta. A questo punto penserete che sia impazzito. Ed è proprio così, cari lettori, sono impazzito di entusiasmo per una manifestazione culturale colma di menti brillanti, palloni gonfiati e spunti di riflessione, cioè Roland Macchine e Animali: un intero fine settimana dedicato a incontri, laboratori e dibattiti sull’editoria, la scrittura e la letteratura. Se non mi credete, potete controllare da soli la ricchezza del programma e l’autorevolezza degli organizzatori: impressionante, vero?
Allestita all’interno di un edificio industriale odoroso di olio per motori — lo spazio espositivo Assab One, a MilanoRoland Macchine e Animali è stata una tre giorni così intensa che per essere descritta nella sua interezza richiederebbe un post così lungo da farvi sanguinare gli occhi. Fortunatamente per voi, ho fatto una selezione e vi dirò quali sono le tre grandi verità che sono emerse, in modo che alla prossima cena con i vostri amici possiate fingere di esserci stati, anche se in realtà avete passato lo scorso fine settimana su bus colmi di gente e in centri commerciali caotici.
1. Il bullismo radical chic si abbatte su E.L. James ma nel frattempo l’editoria vuole beatificarla. Durante l’incontro Vendere i libri, mentre si parlava dello stato — abbastanza penoso — del mercato editoriale italiano, su una cosa tutti si sono trovati d’accordo: 50 sfumature di grigio è una manna dal cielo. E quando dico tutti intendo: il libraio indipendente, la direttrice commerciale di Messaggerie Libri, il direttore commerciale di Mondadori e i rappresentanti delle case editrici indipendenti Iperborea e Marcos y Marcos. Il motivo è il seguente: quando un libro diventa un mega seller, tutti ci guadagnano. Il librario indipendente, grazie alle vendite di 50 sfumature, può permettersi di comprare altri libri, tra cui quelli delle case editrici minori; le case editrici più piccole vedono aumentare quindi gli ordini dei loro libri, i quali possono avere finalmente una distribuzione più capillare e una visibilità maggiore; le aziende che si occupano di distribuzione ovviamente gongolano per il traffico di libri finalmente ringalluzzito. Su questo tema è intervenuta anche Michela Murgia, presente tra il pubblico, definendo la saga della James «ciarpame di valore». Un Pulitzer per la Murgia, grazie.
Roland Macchine e Animali: il reportage2. Il bullismo radical chic si abbatte sul genere ma il genere sta imparando a infischiarsene. “Una volta, meno un libro era venduto e più era considerato bello”: questa frase è stata ripetuta diverse volte, soprattutto durante l’incontro Romanzi del genere, in cui si è parlato di giallo e noir. Si è parlato soprattutto dei grandi scrittori del passato che, in quanto scrittori di genere, erano stigmatizzati e tenuti ai margini del mondo letterario italiano. Si è parlato di Scerbanenco, rivalutato in tempi piuttosto recenti, e di Laura Grimaldi, scomparsa da pochi mesi, la quale scriveva utilizzando addirittura nomi maschili stranieri. La rivalutazione del genere non è ancora del tutto compiuta se, come ha ricordato il critico letterario Daniele Giglioli, ancora adesso il giallo deve essere avallato da un risvolto sociologico che, come recitano le quarte di copertina, spieghi “le ombre che si annidano tra le pieghe della provincia italiana”: ai tempi di Poe, di Chesterton e della Christie, il giallo doveva far paura e questo bastava. Per Marcello Fois è una questione di stile: la bella scrittura deve essere per tutti, non per pochi: è da provinciali pensare il contrario; per quanto lo riguarda, non gli interessa scrivere un giallo con la sinistra e l’Ulisse con la destra; quando scrive un libro lui ci mette il massimo, non fa alcuna differenza che il romanzo sia di genere. Questo è molto gentile da parte sua, non trovate?

3. Il bullismo radical chic si abbatte sui lettori e i lettori stanno seduti in platea a mugugnare. Il dibattito intitolato “Sembra un secolo. L’anno infinito dell’editoria italiana” è stato il più controverso di Roland. Cominciato in maniera molto nobile, con l’intenzione di fare un’autocritica da parte degli addetti ai lavori, ad un certo punto è diventato chiaro a tutti che il dito non era puntato contro gli editori ma contro i lettori, maledetti lettori, che a furia di comprare un libro lo fanno diventare un best seller e quindi, automaticamente, spazzatura — e infatti qualcuno ha ripetuto il mantra: “una volta, meno un libro era venduto e più era considerato bello”. Su questo fronte Christian Raimo della Minimum Fax si è dimostrato piuttosto ispirato, partendo dal fatto che i lettori non hanno gli strumenti per poter leggere i grandi autori ne ha addossato la responsabilità alla scuola e al giornalismo culturale — suddito degli uffici stampa — e ha individuato nell’editore l’unico soggetto in grado di fare militanza culturale e sconfiggere «Alien» e «Predator», cioè, scusate, Google e Amazon. Anche sul piano tecnologico il processo è stato molto simile: il discorso è iniziato con l’ammissione di un certo «sgomento» da parte dell’editoria nei confronti delle nuove realtà digitali: da una parte il «tempo lungo» della scrittura, antico e prezioso, dall’altra la fruizione veloce e polverizzata di quei lettori collaborazionisti che stanno aiutando Alien e Predator a conquistare il pianeta, cioè, scusatemi ancora, Google e Amazon. Insomma, scrittura e fruizione hanno velocità diverse e la percezione del valore di un libro sta cambiando — traduzione: i lettori saranno anche un branco di scimmie ma ventidue euro per un file di testo non ce li danno neanche a morire. Anche su questo argomento è intervenuto il vivace Christian Raimo, il quale ha pronunciato una filippica contro ilmiolibro.it, progetto web di Feltrinelli. Secondo Raimo, i libri inseriti in ilmiolibro.it non li legge nessuno — ed effettivamente, con un sondaggio estemporaneo ad alzata di mano, si è scoperto che nessuno tra il pubblico li aveva mai letti. A questo punto Raimo ha demolito il fiore all’occhiello del progetto ilmiolibro.it, cioè la vincitrice del concorso ilmioesordio: Ilaria Mavilla con il suo Miradar, pubblicato da Feltrinelli — anche in questo caso il sornione Raimo ha chiesto al pubblico chi l’avesse letto, ma il pubblico non ha prestato il fianco; due ragazze hanno alzato la mano. Secondo Raimo il libro presenta personaggi tutti uguali, è zeppo di luoghi comuni, ha un montaggio che non funziona, è puntellato di dialoghi grezzi: insomma, è buon materiale ma andrebbe editato e la scrittrice andrebbe educata. Parole pungenti che non hanno lasciato indifferente Alberto Rollo, direttore letterario di Feltrinelli, seduto anche lui sul palco del dibattito. Sono volate scintille, come si suol dire ed è stato bellissimo, soprattutto quando l’intervento finale di Raimo è stato interrotto da un organizzatore per motivi di tempo e Rollo ha applaudito — all’organizzatore. Per concludere, merita una menzione speciale Carolina Cutolo, garbata presenza dell’incontro e creatrice di Scrittori in causa, blog che offre consulenza gratuita agli autori sui contratti — spesso purtroppo truffaldini — offerti dalle case editrici.


Roland Macchine e Animali: il reportageQuesto, cari lettori, è solo una piccola porzione di quello che è stato Roland, ma non pensiate che il resto del programma non fosse di qualità. Preferisco escludere gli incontri con gli autori per un semplice motivo: sono stati stupendi, impeccabili e, se amate la lettura, saprete già di cosa sto parlando. Gli incontri con i protagonisti dell’editoria sono stati invece una scoperta; un viaggio nel retroscena, la manifestazione di un microcosmo popolato da persone che amano il loro lavoro ma che, in misure molto diverse, dimostrano di avere uno sguardo rivolto al passato, quando fare editoria era anche una faccenda ideologica e il mercato non era ancora l’unico metro di giudizio. Ho notato un certo disagio per il futuro e per le nuove tecnologie: da una parte c’è una grande fascinazione per la novità, dall’altra una crescente paura di smarrire il proprio ruolo in un mondo che sta subendo una rivoluzione. In alcuni tic, come la ripetizione inconsapevole di quella frase — una volta, meno un libro era venduto e più era considerato bello — alberga a mio avviso una certa nostalgia per un passato forse più meschino, ma netto nelle sue regole e nelle sue sicurezze, in cui l’editore aveva un ruolo definito all’interno della società: il ruolo dell’intellettuale. Nel momento in cui sono richieste essenzialmente capacità di imprenditore e di commerciante, l’editore sembra imbarazzato a mostrarsi al pubblico rivestendo ruoli che — un po’ per abitudine e un po’ per vanità — gli vanno stretti.
Vorrei concludere facendo i complimenti a tutte le persone coinvolte nell’organizzazione di questo evento: sono stati bravissimi, da chi lo ha ideato a chi si occupava di spostare le sedie. Fino a quando ci saranno persone così capaci in questo settore, non dobbiamo avere paura di niente.

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