Alberto Angela ha proposto uno straordinario viaggio nel mondo degli amori e delle passioni dell’antica Roma. Ulisse il piacere della scoperta è un percorso in un mondo scomparso, del quale si parla molto ma che si conosce poco. Come si amava e come ci si baciava 2000 anni fa nei vicoli dell’antica Roma? Si portavano rose alla fidanzata? Quali astuzie usava una donna per sedurre un uomo? E per tradire il marito? Come ci si sposava? Si usavano fedi? E’ vero che era facile divorziare? E poi quali erano i tabù sotto le coperte?
Argomento non facile da trattare in televisione ma essendo un programma di divulgazione Angela ha deciso di farlo con semplicità e chiarezza ricostruendo un quadro completo e scrupoloso, ci si è basati su scoperte nei siti archeologici, dati di laboratorio, testi antichi e studi moderni, e centinaia tra reperti nei musei, affreschi, statue graffiti di Pompei e Ercolano. E le risposte trovate spesso risultano sorprendenti. Roma aveva una morale molto più rigida rispetto ad oggi, almeno per quanto riguardava la condotta per le
strade. Non ci si baciava, non ci si teneva per mano, una donna non poteva essere sfiorata. Una ragazza non usciva mai sola, era scortata da una balia che vigilava sempre o quasi, perché l’amore è una forza che vince ogni regola e in segreto…I fiori servivano per abbellimento non come omaggio seduttivo. Si lanciavano baci a distanza con l’indice e il pollice uniti, il baciamano era dimostrazione di forza, un gesto di sottomissione, usanza importata dall’oriente.Non ci si baciava in pubblico, considerato scandaloso e non ci si teneva per mano, neppure se si era marito e moglie. Ma in casa la moglie doveva baciare il marito almeno una volta al giorno. Lo stabiliva la legge, e l’obbligo del bacio si estendeva a tutti i parenti fino al secondo grado. Il motivo? Non l’amore o l’affetto, il bacio funzionava piuttosto da etilometro: serviva a capire se la donna avesse bevuto e quindi, allentato ogni controllo a causa dell’alcol, potesse tradire il marito.
Ma in privato? Catullo, è il primo poeta a creare un libro di poesia, ponendo al centro dell’esistenza l’amore, una passione fondata sul rispetto reciproco del foedus, patto sacro ed inviolabile basato sulla fides (fedeltà) e garantito dalla protezione degli dei. “Dammi mille baci e poi cento, poi altri mille e poi altri cento, quindi altri mille e poi altri cento. Infine, quando avremo fatto molte migliaia, le confonderemo, per non sapere il totale, e affinché nessun invidioso ci porti mali, quando sappia il numero di tanti baci”. Nessun uomo avrebbe scritto una simile poesia a sua moglie ma all’amante si. La moglie era dovere, l’amante incarnava la passione, a lei erano regalati gioielli e abiti eleganti. Bracciali, orecchini, collane suggellavano il grande interesse. Una signora non si mostrava mai completamente nuda , si presentava al suo amante coperta di gioielli che abbellivano il suo corpo.
La donna era una merce di scambio, veniva promessa in età tenerissima (puella) e sempre per interessi familiari, non ci si sposava per ragioni di cuore ma si stipulava un contratto, anche contro la propria volontà e questo rito era giuridicamente valido; consisteva in un vero e proprio impegno, perseguibile in caso di inadempimento, che vincolava la donna ad una sorta di fedelt
à pre-matrimoniale nei confronti del futuro sposo. Il matrimonio si perfezionava con il trasferimento della donna dalla famiglia paterna a quella del marito. Usciva dalla sua famiglia per sottoporsi alla manus di quello che diventerà suo marito. Non è un atto che da inizio al matrimonio, è un atto per acquisto di un potere (manus). Doveva arrivare vergine e garantire la prole. I matrimoni insomma venivano decisi dai parenti dei due giovani e i motivi erano sempre di natura economica. Questo soprattutto in età repubblicana. In questa società maschilista e dominatrice, si sposavano soprattutto per garantirsi una discendenza, mentre sul piano della sessualità avevano atteggiamenti piuttosto liberi, almeno da parte degli uomini (la cosa sarà reciproca solo in epoca imperiale). L’deale femminile era florido e con i seni piccoli, un corpo adatto a fare figli, lontano dai canoni odierni legati al benessere che propone un modello provocante ed estetico. La carnagione bianca, il giallo dei capelli tinti e il rosso della labba erano i colori della femminilità. Finiti i riti la ragazza veniva stuprata, giovani spose bambine dall’infanzia negata. L’uomo al contrario è poligamo e può accedere liberamente al sesso con altre concubine. Matrimoni che non si basavano sull’amore trovavano la passione fuori dalle mura domestiche. L’adulterio maschile era ammesso, quello femminile era perseguito. Le relazioni extraconiugali erano all’ordine del giorno. I gladiatori erano i preferiti, con i loro muscoli scolpiti facevano breccia nei cuori romani. Il fascino del corpo possente, lo sprezzo del pericolo favorivano le pulsioni femminili. Oltre ai gladiatori, riscuotevano successo gli attori, dalla vita avventurosa. Gli schiavi invece erano sempre a portata di mano e costretti al silenzio.Non esistevano tabù, bisognava farlo bene, senza distinzioni di generi. Una visione dominatrice del maschio legata alla sua virilità, posta al centro di tutto. Il sesso orale, ad
esempio, era visto come una forma di sottomissione e controllo; era considerato un atto passivo e sottomesso, mentre riceverlo era considerato un atto attivo e di controllo. Gli antichi romani avevano un rapporto ambiguo con l’amore: da un lato c’era l’istituzione del matrimonio, rispettato e protetto, dall’altra l’amore passionale che , soprattutto al di fuori del matrimonio, alimentava la prostituzione. Sia a Roma, come nelle altre città dell’impero, molti erano i luoghi deputati alla prostituzioni. Essi prendevano il nome di lupanare. Il meretricio era visto come una vera e propria valvola di sfogo, utile e necessaria per gli uomini ma anche per le donne. Ufficialmente l’’omosessualità era praticata liberamente solo con schiavi e liberti che avevano un ruolo passivo. Anche uomini illustri erano omo o bisessuali.In conclusione, i romani amavano la vita ed erano ben lungi dal concetto di peccato legato alla sessualità, erano concentrati sul piacere della vita. In Carpe diem confluisce tutta la filosofia di vita romana, la vita è breve e il fallo è il portatore della vita e del piacere, un regalo degli dei e quindi un sentimento da vivere fino in fondo.