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Roma cialtrona…

Creato il 24 agosto 2013 da Carturco @carturco

Una sera di una delle giornate più torride di questa estate decidi di andare a cercare un po’ di refrigerio al Gianicolo – è parecchio tempo che non lo vedi.

Non ti è difficile parcheggiare la macchina regolarmente, in uno spazio lungo il marciapiede. Ma diverse auto sono parcheggiate alla rinfusa, fin sotto la statua di Garibaldi: automobilisti che non se la sentono di fare poche decine di metri a piedi.

Sulla sinistra, nel bel mezzo di una delle aiuole a prato, è in funzione una giostra schiamazzante di bambini e relativi genitori.

Quando arrivi sulla piazza, trovi ad accoglierti due chioschetti malandati, che certamente oramai nulla hanno più di caratteristico, imbottiti come sono di fast food e bevande prodotti in serie e reperibili in qualsiasi bar. Ad essi si è aggiunta una megastruttura cui è stato consentito – certamente al riparo della sua fin troppo evidente temporaneità – di realizzare una combinazione unica di brutture e pretenziosità, con divani, divanetti, tavolini e lampioncini. Il nome, su un lato esterno delle pareti, è all’altezza dell’opera: “The Panorama” .

Non fosse sufficiente l’inquinamento visuale, da questo megabar si spande per il Gianicolo, con volume a palla, una dozzinale e sgangherata disco-music, cui fanno eco, a poche decine di metri di distanza, i ritmi altrettanto dozzinali trasmessi, sempre a tutto volume, da uno dei chioschetti. Se vuoi goderti la vista notturna devi sottometterti a questo frastuono incrociato, a tratti corroborato dal passaggio di qualche auto con ciurme di coatti, anch’essi impegnati ad assordare il prossimo con le percussioni dei loro hi-fi al massimo della potenza: la magia del silenzio notturno, garbatamente rotto solo dal frinire di cicale tardive o di grilli, lo puoi soltanto fantasticare.

Da quella che potrebbe essere una elegante terrazza sull’impagabile veduta di Roma, famosa ed ambita meta di turisti provenienti da tutto il mondo, ogni decoro è decisamente esiliato.

Decidi allora di proseguire altrove la tua ricerca di refrigerio. Pensi che magari ad una scala più ridotta – a misura d’uomo, come si dice – in un quartiere d’antiche tradizioni popolari, e gestito da un Municipio di sinistra – la Garbatella – il territorio non venga oltraggiato con tanta noncuranza e disprezzo dai suoi abitanti.

Eccoti allora nel largo tra Via delle Sette Chiese e Via Macinghi Strozzi, sistemato alcuni anni fa e intitolato a Monsignor Nobels: il luogo, per intendersi, in cui le sere d’estate l’affollamento di un’ottima gelateria artigianale è stato saggiamente regolato con i numeri della macchinetta.

Delle aiuole a prato si può dire che praticamente rimangono soltanto i confini: dell’erba serbano memoria soltanto basse sterpaglie rinsecchite, disseminate sulla terra polverosa, anche se, a poca distanza, due fontanelle, alle estremità della piazza, sono impegnate nell’incessante dispersione  di quel prezioso e oramai santificato bene comune che è l’acqua (o, a tratti ed al più, nel riempimento di fusti di plastica, d’uso certamente non comune).

L’area è disseminata di cartacce, bottigliette di vetro o plastica, ed altri rifiuti, comprese le immancabili cacche dei beniamini degli amanti degli animali. Panchine ed arredi sono imbrattati da scritte e da quelli che vorrebbero passare, con non poca presunzione, per graffiti, prodotti della creatività di ignoti writers affetti dall’egolatria oramai imperante. 

Il tutto nell’indifferenza degli abitanti, per lo più residenti del quartiere, cui evidentemente, alla fin fine, di questo degrado importa poco o niente e di cui, comunque, non si sentono minimamente responsabili.

Magari, a quest’ora, un po’ di refrigerio l’hai trovato: ma la tua serata ha virato irrimediabilmente sul deprimente.

Invano cerchi di fartene una ragione, pensando che, in fin dei conti, Roma è la degna capitale di un paese in cui, nel senso comune, sembra tramontata definitivamente la distinzione tra popolare e plebeo, che in tempi remoti Togliatti non mancava di sottolineare, e in cui sembra che una definizione realistica di pubblico dovrebbe riferirsi a tutto ciò che può essere, a piacimento ed impunemente, vandalizzato, saccheggiato, dilapidato. Mentre poche anime belle discettano sulla elevazione del concetto di beni pubblici, oramai datato, alla trascendenza dei beni comuni: che in quanto tali, non si capisce per quale magia, si guadagnerebbero con efficacia immediata rispetto e tutela.


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