L’altro ieri sera al Colosseo c’è stata una manifestazione per chiedere a gran voce la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito da Hamas 4 anni fa e del quale non si hanno pressoché notizie. Da 4 anni non può vedere nessuno salvo i suoi rapitori e tra tutti i diritti fondamentali che non gli vengono riconosciuti, gli è stato negato anche quello elementare di avere una visita da parte della Croce Rossa per accertarsi del suo trattamento e del suo stato di salute.
E così è stata organizzata dall’Unione Giovani Ebrei Italiani e dal Benè Berith giovani, nel IV anniversario del suo rapimento, una manifestazione in contemporanea a Gerusalemme, Milano, Torino e Roma. In queste tre città italiane è stata spenta l’illuminazione a tre monumenti rappresentativi: il Castello Sforzesco, la Mole Antonelliana e il Colosseo.
Per quanto riguarda l’evento di Roma, presente Noam Shalit, padre del soldato, dopo i discorsi dei rappresentanti delle istituzioni ebraiche c’è stata la solita passerella di politici e giornalisti che gridavano a gran voce la loro amicizia nei riguardi di Israele: Giuliano Ferrara, Cesa (UDC), Ronchi (PDL), Polverini (governatore del Lazio) e Zingaretti (presidente della Provincia di Roma), e naturalmente del Sindaco Alemanno.
Non mi soffermo sul merito delle loro dichiarazioni visto che non avrebbero potuto parlare in modo diverso dato l’ambito nel quale erano stati invitati a partecipare. È stata una sorta di prevedibile gioco delle parti.
Una breve notazione su Ronchi, che sembrava sotto l’effetto di una sostanza psicotropa eccitante: spaventava per il fervore con cui parlava, pardon, urlava, la sua amicizia agli ebrei e allo Stato ebraico.
Renata Polverini invece non ha ancora ben chiaro che gli ebrei romani sono romani da migliaia di generazioni: infatti continuava a parlare di noi e di voi; di nostri giovani e di vostri giovani; come se fossimo entità distinte. È questa diversificazione che induce alla pericolosa confusione tra ebrei e israeliani; è questo distinguo che sta alla base del moderno antisemitismo e che porta a pensare che l’ebreo sia sempre e comunque un estraneo, un diverso da sé.
Divertente la pronuncia sballata usata da quasi tutti nel nominare Gilad Shalit (cavolo, ma esercitatevi a casa davanti allo specchio se dovete partecipare a una manifestazione pubblica: Jilà Jalì - della Polverini - è stato lo storpiamento migliore!). Alemanno ha superato se stesso nominando il presidente iraniano Armadineggiad. Ma il meglio di sé l’ha dato quando alle 23.00 per ordinare lo spegnimento del Colosseo parlando in un walkie talkie ha detto: “Roma chiede che si spegni il Colosseo”. Un vero attacco di congiuntivite acuta.
Una cosa però vorrei sottolinearla.
L’unico politico che, a mio avviso, non si è limitato a esprimere la sua simpatia, ma che ha aggiunto anche un’opinione interessante è stato Zingaretti, che ha sottolineato che non si può più far finta di non sapere e di non vedere: in questo caso i torti e le ragioni sono assolutamente distinguibili. Shalit è stato rapito in territorio israeliano, quindi non si può considerare prigioniero di guerra: si tratta di un atto terroristico e come tale deve essere considerato.
E proprio alla luce di tale considerazione spicca un’assenza che politicamente ha pesato in modo significativo: quella delle associazioni umanitarie solitamente in prima linea nella difesa dei Diritti Umani: Amnesty International, Emergency, Gino Strada. Dov’erano? Forse gli israeliani non sono considerati esseri “umani” e quindi portatori di diritti? Forse il solo fatto di essere un israeliano fa di Shalit un criminale? Sarei curiosa di conoscere le loro motivazioni. Ma in fondo anche no. Perché avvelenarsi ulteriormente l’animo?