Articolo originale pubbicato da http://sportstory.it/
A cura di Fabriola Rieti.
16 Agosto 1983: è la mia data di nascita. Io quello scudetto 1982/83 non l’ho visto, ma l’ho vissuto.
L’ho vissuto attraverso gli occhi dei miei genitori, poco più che ventenni. Nell’immagine di mio padre alla guida di una 500 con mia madre accanto, incinta, in giro per Roma per festeggiare quel titolo così atteso.
Quella bandiera giallorossa che fuoriusciva dalla cappottina della 500 l’ho sollevata anche io insieme a mia mamma per la prima volta.
L’esplosione di gioia non ebbe confronti. Perché fu così sentito quello scudetto?
Perché arrivava dopo anni di “Rometta” e finalmente i tifosi si sentivano gratificati da questa squadra combattiva, di carattere, che sapeva soffrire e gioire. Perché allora l’unico di modo di vivere il calcio e dissetarsi di questa passione era frequentando lo stadio, per poi correre a casa a vedere le trasmissioni sportive sperando di arrivare in tempo per guardare i gol della Roma.
Il progresso, spesso, è sinonimo di regresso e nel calcio è esattamente così. L’unica cosa che rimane inalterata è il tifo. Sono quei cori, quell’energia con cui i tifosi sostengono la squadra tra frustrazioni e piccole soddisfazioni.
Il tifo giallorosso vince lo scudetto ogni anno nei sogni e nelle speranze, perché la Roma è come il vero amore, ti fa vivere continuamente sulle montagne russe tra la gioia della vittoria e il vuoto della sconfitta.