La vita davanti a sé
1977
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Una storia in bianco e nero, come la copertina, come le immagini che ho scelto per accompagnare alcune delle frasi (frasi dai libri#3); una storia che ha del bianco e nero la malinconia, nella sua amara dolcezza: "La vita davanti a sé" è un romanzo che descrive l'amore per la vita a partire dal degrado, perché sarebbe troppo semplice amare la vita se questa fosse senza ombre.
Momò, diminutivo di Mohammed, è un bambino arabo che guarda l'ambiente disincantato in cui vive con i suoi grandi occhi neri, disillusi anch'essi, trasmettendo al lettore il suo attaccamento alla vita, che si fa quindi più significativo. Insieme ad altri bambini, sta al sesto piano di un palazzo, nel quartiere parigino di Belville, nell'appartamento di Madame Rosa, un'ex-prostituta ormai anziana, che si occupa dei figli delle puttane. Nessuno lo viene mai a trovare, non conosce sua madre, e forse è per questo motivo che si lega più degli altri a Madame Rosa, ebrea scampata alla persecuzione nazista.
Ci troviamo nel dopoguerra, in una Parigi multietnica, dove sono proprio le persone culturalmente diverse tra loro ad unirsi in uno spirito di fratellanza e complicità, che tacitamente denuncia la teoria antisemitica che ancora incombe nei freschi ricordi. Il piccolo protagonista - che poi tanto piccolo forse non è, non essendo sicuro di avere dieci anni - ci racconta l'abitudine dell'anziana donna di conservare un ritratto di Hitler sotto il letto e di tirarlo fuori quando è triste per sentirsi subito sollevata.
L'arabo Momò e l'ebrea Madame Rosa, il bambino e l'anziana, si stringono in un metaforico abbraccio che permette loro di superare la solitudine. Insieme all'amico Arthur, un ombrello chiuso che ha decorato, Madame Rosa è la sua famiglia. Il desiderio dell'autore di dipingere una realtà variegata si fa ancora più evidente nell'introduzione di altri personaggi, tra i quali Madame Lola, un ex pugile ora prostituta, che vive nella stessa palazzina e aiuta i vicini.
"Si può vivere senza amore?", chiede Momò al signor Hamil e, al di là della sua risposta, sarà lui stesso a capire se è possibile o no, quando la salute di Madame Rosa peggiora e i suoi momenti di lucidità si fanno sporadici. Sarà lui a proteggerla dalla verità, a truccarla come piace a lei, a conservare quel corpo stanco...
Il linguaggio è essenziale, immediato, privo di fronzoli, in grado di catturare la realtà così com'è, senza giri di parole, offrendo una prospettiva del tutto dislocata rispetto a quella abituale. Il punto di vista del piccolo Momò è di una crudezza innocente che evidenzia un'umanità disarmante.
Ho scoperto questo libro per caso, catturata dalla copertina, e ho avuto modo così di conoscere un libro davvero interessante, le cui parole mi hanno coinvolta da subito. L'attenzione a volte è venuta meno, ma si è poi ravvivata fino a raggiungere le indimenticabili immagini finali...
Il signor Hamil dice che l'umanità non è che una virgola nel grande Libro della vita e quando un vecchio dice una stronzata simile non vedo proprio cosa posso aggiungerci io. L'umanità non è una virgola, perché quando Madame Rosa mi guarda coi suoi occhi ebrei non è una virgola, è anzi il grande Libro tutto quanto, e io non la voglio vedere.
Romain Gary, pseudonimo di Romain Kacev, pubblicò "La vita davanti a sé" con un altro pseudonimo, Émile Ajar, vincendo così, per la secondo volta (cosa altrimenti impossibile) il rinomato premio francese Goncourt. Scrittore, regista, viaggiatore: Romain Gary è un artista a tutto tondo.
Di origine ebrea per conto della madre, affronta il tema della persecuzione antisemitica in maniera del tutto nuova, senza focalizzarsi ossessivamente sull'argomento, bensì mostrando una realtà che, nonostante il degrado e la povertà, conserva i sentimenti umani più puri, quali la fratellanza, l'amicizia, il senso della famiglia e l'uguaglianza.Con questo romanzo, l'autore si è silenziosamente riscattato dalle critiche che aveva ricevuto, dopo una prima fase di riconoscimenti, connessa soprattutto alla pubblicazione di "Le radici del cielo", premiato nel 1956. La sua è una vittoria personale che si gode privatamente, prendendosi quasi gioco degli altri inserendo nei suoi pseudonimi rimandi a uno stesso campo semantico ("gary", in russo, significa brucio; "ajar" brace).
Ho scoperto, inoltre, che fu sposato anche con l'attrice statunitense Jean Seberg, protagonista femminile di À bout de souffle (Fino all'ultimo respiro) di Godard. Un anno dopo il suicidio di lei, anche lui si uccide con un colpo di pistola,nel 1980, lasciando scritto:
“Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove”.
Jean Seberg