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ROMANIA: Il villaggio di Pungesti dice no alla Chevron

Creato il 04 novembre 2013 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 4 novembre 2013
di Chiara Milan

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Da ormai dieci anni la riapertura della miniera di Rosia Montana anima il dibattito politico in Romania. Le ragioni di chi si oppone a quella che potrebbe diventare la più grande miniera a cielo aperto d’Europa si scontrano con i favorevoli ad una ripresa delle attività, che, sostengono, potrebbe alleviare la disastrosa situazione economica in cui versa la zona. Il premier Victor Ponta, un tempo contrario al progetto, ha cambiato opinione, dichiarando la riapertura della miniera di importanza fondamentale dal punto di vista economico. Il parlamento, nel frattempo, ha istituito una commissione ad hoc per analizzare la proposta di legge che conferirebbe alla miniera lo status di progetto di interesse nazionale. Se approvata dal parlamento, la legge darebbe il via libera all’esproprio dei terreni degli abitanti che si sono rifiutati di cedere le loro proprietà alla compagnia Gabriel Resources.

I romeni, nel frattempo, non stanno a guardare. Il 15 settembre scorso le bandiere con il simbolo della campagna Save Rosia Montana hanno sventolato in molte piazze della Romania, d’Europa e anche a New York, in occasione della giornata di mobilitazione globale indetta dagli organizzatori della campagna, mentre il 21 settembre i manifestanti hanno creato una lunghissima catena umana che ha circondato la Casa del Popolo a Bucarest, ora sede del parlamento romeno. A tutt’oggi le mobilitazioni stanno proseguendo con cadenza settimanale.

Dopo Rosia Montana, Pungesti

Oltre a dover trovare una soluzione alla questione di Rosia Montana, il governo guidato dal social-democratico Victor Ponta si trova ora a fronteggiare un altro focolaio di protesta a Pungesti, comune della Moldavia romena. Proprio a Pungesti la compagnia petrolifera americana Chevron avrebbe dovuto iniziare le trivellazioni esplorative alla ricerca di gas di scisto (l’ormai famoso gas shale) utilizzando l’altrettanto famosa tecnica della fratturazione idraulica, il fracking.

Nonostante avesse ottenuto i permessi necessari ad iniziare le trivellazioni, il 3 ottobre scorso la Chevron si è trovata impossibilitata a cominciare i lavori a causa delle proteste della popolazione locale, che ha bloccato in massa l’accesso al sito.

Pungesti è solo uno dei tre villaggi della Romania orientale in cui la Chevron ha ottenuto il permesso di trivellare il terreno alla ricerca di gas di scisto. Secondo le stime dell’amministrazione di informazione energetica statunitense (EIA), dal gas di scisto la Romania potrebbe recuperare un quantitativo in grado di coprire la propria domanda energetica per più di un secolo. E nonostante le preoccupazioni di chi sostiene che il fracking potrebbe danneggiare irrimediabilmente l’ambiente e inquinare le falde acquifere, la Chevron afferma che tutte le sue attività rispettano gli standard e le leggi romene ed europee a riguardo.

Gli abitanti di Pungesti, che vivono prettamente di agricoltura di sussistenza in una delle regioni più povere d’Europa, non sono dello stesso parere. Hanno infatti continuato a protestare per giorni, chiedendo a gran voce ai politici di revocare alla Chevron il permesso di trivellare il loro territorio. Nel giro di qualche giorno i manifestanti hanno raggiunto quasi le mille unità a Pungesti, mentre in altre città della Romania sono stati organizzati raduni in solidarietà con gli abitanti del villaggio.

Coscienza ambientale o disinformazione?

A chi sostiene che l’opposizione allo sfruttamento del gas shale a Pungesti sia il segno di una rinata consapevolezza ambientale dei cittadini romeni, Mircea Badea, giornalista di Antenna 3, controbatte affermando che i cittadini di Pungesti sono contadini contrari al progetto non tanto perché consapevoli del danno ambientale che comporterebbe, ma solamente per paura e disinformazione.

Dalle colonne del quotidiano Adevarul, invece, Dan Marinescu si chiede quale futuro potrebbe avere la Romania se gli americani smettessero di investire nel paese. E sostiene che, prima di invitare gli americani ad andarsene, i romeni dovrebbero rivolgere lo stesso invito alla loro propria classe politica.


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