di Luca Bistolfi
Da diverse ore Bucarest e altre città romene sono state invase da qualche migliaio di manifestanti – uomini, donne, anziani, giovani – per chiedere le dimissioni del presidente della Repubblica Traian Basescu e del capo del governo Emil Boc. Motivo: la Romania, come molte altre nazioni d’Europa e in particolare dell’Est, è alla frutta, se non oltre.
Brasov, Cluj, Constanta, Timisoara e Bucarest sono le principali città in cui si sono concentrate le manifestazioni: le stesse città del dicembre 1989. All’inizio le dimostrazioni sono state tranquille ma nelle ultime ore la situazione si è aggravata e ci sono stati scontri con la polizia, anche molto pesanti. Nel momento in cui scriviamo (nella notte di sabato 14 gennaio) le strade di Bucarest e in particolare in Piata Universitatii (la stessa piazza protagonista degli scontri nel 1989) sono state occupate da circa mille manifestanti, che, dicono i colleghi sul posto, non hanno la benché minima intenzione di andarsene e il cui numero è in aumento.
I commentatori e gli stessi manifestanti tornano con la memoria alla caduta di Ceausescu: questa è un’altra rivoluzione e, se necessario, useremo anche la violenza. E violenza è stata praticata da entrambe le parti, con diversi feriti. Un’altra volta quindi i romeni scendono in piazza, piuttosto furiosi, contro un governo. Già due anni fa lo avevano fatto a seguito dei duri provvedimenti di Basescu ma la portata di quell’anno fu assai più contenuta rispetto a quanto sta accadendo ora.
La volta ancora precedente è stata nel 1989 ma le cose furono per la verità un poco diverse: una rivoluzione eteroguidata, ossia un colpo di Stato come oggi è ampiamente dimostrato. Questa volta non c’è di mezzo un dittatore, anche se di questi tempi bizzarri chiunque rischia questo appellativo, e anche Basescu oggi è definito tale. Siamo a qualcosa di più grave, però: la gente sta peggio di prima, sempre peggio. I salari calano così come l’occupazione e ci sono persone che non percepiscono stipendio da due mesi. Due mesi fa la Romania è stata, dati alla mano, riconosciuta come il Paese più povero dell’Unione Europea accanto solo ad alcune zone della Bulgaria.
Non abbiamo nessun elemento per dire se queste manifestazioni proseguiranno nei prossimi giorni e quanto, né soprattutto siamo in grado di dire se e chi vi sia dietro di esse. Su di una certa spontaneità, vista la sitazione economica romena, possiamo esser pressoché certi, ma sugli sviluppi, sulle conseguenze e sui retroscena per il momento è meglio non avanzare ipotesi.
La maggior parte dell’opinione pubblica si sta rivoltando contro Basescu, sia per la politica economica del governo, sia per i metodi violenti adoperati dalla polizia e non pare intenzionata a lasciar perdere. Insomma, si tratta di proteste dalle radici profonde.
Di certo vi è che se i romeni, anche questa volta, si illuderanno di cambiare le cose attraverso questi mezzi, allora siamo sulla strada sbagliata, ancorché la rabbia e l’amarezza dimostrate dalle persone in piazza sono più che comprensibili. La Romania è sotto scasso del Fondo Monetario Internazionale e delle solite politiche ricattatorie dell’economia mondiale: i suoi politici altro non sono che o delle pedine o dei correi, ma non certo i primi e soprattutto unici responsabili.
In un nostro recente viaggio in Romania una delle prime cose che ci ha colpito è stato il proliferare di banche, soprattutto straniere. Ve ne sono a ogni angolo. Forse se le proteste fossere indirizzate anche contro questi “enti privati a partecipazione pubblica” il mirino sarebbe più a fuoco.