Anno: 2012
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 129′
Genere: Drammatico
Nazionalità: Italia
Regia: Marco Tullio Giordana
Nella lunga filmografia del nostro cinema “impegnato” non è stato mai affrontato un argomento così tentacolare come quello della strage di Piazza Fontana. Un po’ perché, tendenzialmente, si è sempre trascurato di trattare tutto ciò che inerisce l’eversione nera e le alte trame di stato, e, ovviamente, perché questo è uno di quegli argomenti che hanno fortemente contrassegnato la storia italiana, inaugurando ufficialmente quella che viene definita strategia della tensione e l’inizio degli anni più bui del nostro Paese. Marco Tullio Giordana, che non è nuovo a questioni e tematiche così complesse e oscure (Pasolini un delitto italiano, I cento passi), ha deciso di colmare la lacuna unendo lo spirito del più classico film-inchiesta alla sua recente, e abbastanza discutibile, infatuazione per un certo cinema “corale” (quel pastrocchio de La meglio gioventù).
Questo Romanzo di una strage (il titolo è tratto da un controverso articolo di Pasolini) vorrebbe colmare 43 anni di misteri, “rivolgendosi ad un pubblico di nuove generazioni che ignorano cosa sia successo a Piazza Fontana”. Sicuro di fare qualcosa che avrebbe riacceso i dibattiti, Marco Tullio Giordana ha lanciato in pompa magna l’operazione, aggiungendo come sottotitolo al film una dichiarazione abbastanza “sfrontata”: La verità esiste. Purtroppo l’operazione non si può dire del tutto riuscita, anzi fallisce sotto vari aspetti.
A parte la confusa divisione in capitoli, di “romanzo” c’è ben poco, sia per la scrupolosa precisione dei fatti riportati (ma ciò non è assolutamente un difetto e, nonostante varie forzature, non si può non elogiare il gigantesco lavoro di ricerca dei due sceneggiatori Rulli e Petraglia), sia, soprattutto, per l’assoluta incapacità di creare coinvolgimento. Romanzo di una strage si mostra come un pachidermico mattone che racconta troppi eventi e personaggi, non riuscendo, però, a far appassionare all’intricatissima e drammatica storia. Tra l’altro il punto di vista di Giordana è quello di chi vuole mettere in mezzo tutto e tutti e, nello stesso tempo, essere ‘inattaccabilmente bipartisan’, in modo che non si arrabbi nessuno, tirando fuori il lato peggiore del lavoro degli sceneggiatori; l’enorme mole di eventi e personaggi, quindi, risulta per lo più priva di spessore, incapace di assumere una dimensione emotiva forte all’interno di una narrazione priva di tensione e dal ritmo lento. I personaggi di Calabresi e Pinelli (interpretati molto bene da Mastrandrea e Favino) sono troppo schematici, e quando li vediamo inseriti nei rispettivi contesti familiari il film trova i suoi momenti peggiori (soprattutto nelle dinamiche che coinvolgono una svogliatissima Laura Chiatti nel ruolo della moglie di Calabresi). Il foltissimo cast è abbastanza altalenante e a parte le buone interpretazioni dei protagonisti e di qualche altro ‘secondario’ il resto oscilla tra inutili esaltazioni di gigioneria (il Borghesi di Zannoni, l’inguardabile Valpreda di Scandaletti o il Ventura di Fassolo) e il ridicolo (oltre alla già citata Chiatti merita menzione anche la goffa interpretazione ‘servilliana’ di Gifuni per Aldo Moro).
L’altra questione su cui Giordana si appoggia inciampando è la tesi della “doppia bomba”, basata sulle ricerche di Paolo Cucchiarelli, attraverso cui si evidenzia un punto di vista abbastanza generalista che rischia di diventare un furbo escamotage: i momenti “clou”, come la morte di Pinelli e Calabresi, sono ‘ripresi’ perennemente fuori campo, e se per il primo si azzardano almeno varie ipotesi, per la morte del commissario non si fa neanche un minimo accenno a tutta la spinosa questione mandanti/esecutori, chiudendo con gli immancabili (e purtroppo tristissimi) cartelli finali che lasciano sempre quel ‘dubbio’ su cosa possa essere effettivamente accaduto, tradendo così anche la “sfrontatezza” sbandierata fin dai poster di cui si parlava prima.
Non si può trascurare, inoltre, che Giordana non conosce affatto la “generazione” a cui si rivolge, che, anche quando si vuole davvero sforzare, preferisce interrogarsi sulle “proprie” tragedie (in conferenza stampa Mastrandrea ha affermato: “Ogni generazione ha la sua strage, e la Diaz è quella di oggi”). D’altronde, tutta la storia richiede un’accurata conoscenza della nostra situazione in quegli anni e, molto spesso, pochi sanno cosa sia stata la dittatura dei colonnelli in Grecia, il caso Annarumma, il golpe Borghese o i motivi della contestazione dell’“autunno caldo”. Questo film sarebbe dovuto durare un’oretta di più, approfondendo qua e là alcune cose importanti, magari dividendo il tutto in due puntate da trasmettere in prime time.
Insomma, a conti fatti, buoni presupposti non bastano a costruire un buon film.
Raffaele Picchio
Scritto da Raffaele Picchio il mar 28 2012. Registrato sotto IN SALA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione