Ci ha dato la notizia in maniera inaspettata. Nell'incontro con il clero del 4 novembre, monsignor José Luis Escobar ha raccontato che, nella sua stanza a Roma, Papa Francesco gli ha detto che monsignor Oscar Romero sarà beatificato l'anno prossimo. L'arcivescovo non ha rivelato dettagli sulla data e sul luogo. Ma la notizia ci ha lo stesso riempito di gioia.
I due papi precedenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ne avevano parlato, sì, però non con molta convinzione e risolutezza. Traspariva il timore di urtare i potenti: «Tuttavia non è ancora il momento opportuno...». Il linguaggio del Vaticano era ambiguo e poco entusiasmante.
Con papa Francesco è cambiato tutto. Già da un anno aveva detto che la causa di monsignore era ferma, ma che senza dubbio sarebbe avanzata. Più che ferma penso che fosse bloccata da molti interessi che non hanno niente a che vedere con Gesù di Nazaret.
L'abbiamo detto tante volte: la gioia e l'esultanza della gente per questa notizia è certa. Però è bene mantenere un piccolo timore e un dubbio: che cosa dirà il processo di canonizzazione di monsignor Romero? Uomo santo ed eroico nelle virtù lo fu in sommo grado. Però fu anche qualcosa di più, come disse Ignacio Ellacuria alla messa funebre qui all'Uca, subito dopo l'assassinio dell'arcivescovo: «Con monsignor Romero, Dio ha visitato il Salvador». In quegli stessi giorni don Pedro Casaldáliga ha scritto il poema San Romero de América, pastore e martire nostro. E spontaneamente la gente lo ha chiamato «santo». Il culto della gente, popolare, è stato un fenomeno di massa, anche se non sarebbe stato ancora permesso durante il processo di beatificazione.
Speriamo, allora, in quest'anno che viene. Nel 2015 non ci saranno né i Mondiali né le Olimpiadi. Non si lotterà gli uni contro gli altri per vincere. Poco o tanto vinceremo tutti, con la sola eccezioni di alcuni incorreggibili. Non ci vorranno milioni per nascondere la povertà, la violenza e le sofferenze. Ci saranno pupusas e tamales (due piatti tipici dei poveri del Salvador ndr). Nel 2015 vincerà la bambina di un villaggio dello Zimbabwe che, quando nel 2007 le ho raccontato che venivo dal Salvador, mi ha detto subito: «Un vescovo». Il giorno dopo, sempre nello Zimbabwe, ho salutato Desmond Tutu. Gli ho detto che venivo dal Salvador e lui mi ha risposto: «La terra di Romero! Quanto lo abbiamo ricordato al tempo della guerra!». E così tantissime altre storie che tutti i libri del mondo non sarebbero in grado di contenere.
Sì, il mio timore che beatifichino un monsignor Romero annacquato è sparito. Oggi ormai è difficile manipolarlo. E ho una preghiera: «San Romero d'America, intercedi per tutti i poveri del mondo. Ed intercedi per questo popolo salvadoregno, che è il tuo».
Jon Sobrino
Fonte (sito web :VINO NUOVO)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)