Rosanna Di Iorio è nata a Chieti e vive e opera a Cepagatti (PE). Nel 2002 ha pubblicato la raccolta di poesie “Oltre lo sguardo”; nel 2005 “ Stelle del nulla misterioso”; nel 2008 “Con le nostre mani d’anime”, nel 2010 “Un groviglio di sentimenti” pubblicata come vincitrice del premio San Nicolò’ di Padova; nel 2011 “Sono cicala. Mi consumo e canto” pubblicata come vincitrice della XXXII edizione IL Portone di Pisa. Nel 2013 “Arianna e il Filo. Geografia di Sentimenti” Edizioni Kairos. E’ risultata nella terna vincitrice e tra i finalisti anche con alcuni racconti. E’ stata membro di Giuria del Premio Mimesis di Itri nel 2013.
Ha conseguito numerosi primi premi importanti. Finalista e segnalata in tanti altri.
UNA RAGAZZA ALLO SPECCHIO UNA SERA DI SETTEMBRE
Nelle serate torbide d’autunno
s’impara ad accostare piano piano
le porte delle stanze addormentate
dove non si dovrebbe entrare più.
Nello specchio si affaccia la ragazza
che di nascosto esercitava il suo
febbricitante corpo nello specchio
a mettere il vestito della madre,
ancora stanco di profumi forti
e di odori di corpi attraversati
da sapori e deliri della notte.
Poi voltandosi mostra una figura
che si piega in avanti con tremore
come a volersi opporre a una ventata.
Ma vento sulla scena non ce n’è.
Come dopo l’amore nelle ore
vuote del pomeriggio. Oppure come
quando si pensa a un viaggio che alle spalle
non lascia traccia alcuna. A questo punto
sono più i giorni attraversati intanto
che quelli che poi restano. E qualcosa
li sta riempiendo lentamente. Come
l’assordante frinìo della cicala
che sottovoce cantilena ai piedi
della vallata dietro i nostri volti,
le nostre ombre opache, i sentimenti
che scorrono atterriti, disattenti
lungo il sentiero senza suono solo
con passi lievi inesistenti. Quasi
come un nonnulla.
DI TUTTO QUELLO CHE HO VISSUTO
Di tutto quello che ho vissuto, Amore,
solo un groviglio di pensieri adesso
rimane con la polvere dei giorni;
qualche dolcezza consumata in fretta
nell’attesa di fragili finali.
Resta un eterno bacio alle illusioni,
un triste lacerarsi dentro il cuore
ai tanti addii passati sulla nostra
strada rovente di figurazioni.
Desideri, parole ricercate.
Altre scagliate come frecce ostili
e poi volute indietro per Amore.
Resta l’ansito triste delle angosce
la sera, la malìa di una canzone
che mi faceva supplice sognare
fosforescenti alberi infiniti
in una stanza viola con la voglia
rabbiosa di un abbraccio senza fine.
Questo rimane. Mentre scalza in punta
di piedi, saltellando, credo ancora
di vivere. Isolata, crocifissa
in un modesto grumo di esistenza
dove anche il filo sfugge alle mie mani.
E dove non riesco più a capire
persino il modo di parlare oscuro
dei miei nuovi padroni. Il senso e il verso
di queste voci atone, appassite.
Di questi sassi nelle tasche. Queste
notti d’inverno fredde e senza sonno
che scorrono nel fuoco di un delirio
febbricitante che sta macerando
i sentimenti miei. E ogni altra cosa.
Ti dico solo a questo punto ormai
la vita ci è sfuggita dalle mani.
E i resti abbandonati, spogli, sparsi,
cercano invano nuova umanità.
LA VOCE DELL'AMORE TRA LE MANI
(per una mamma non udente)
Ho visto le tue mani farsi voce
e gridare nel vento. E sulla fronte
fili di seta bianca, riluttanti
sfidare oltre le stelle, l’Universo.
Ho visto nei tuoi occhi sempre ardenti
fiumi di luce mite e imperativa.
E il pensiero si lega al gesto, il segno
al senso. Senza mai nessun bisogno
di inventarsi sirene. La dolcezza
delle tue dita elastiche e sottili
come un tam tam percuotere il silenzio
e farsi canto di contralto. E d’ombra.
Quanta forza nel fondo, senza orecchi
per udire la voce di tuo figlio
che solitaria canta nel tuo buio,
che non riesce a vincere il silenzio,
ma lieve sfiora le tue labbra mute.
Forse bisognerebbe saper dare
di più. Vorrei poggiare le mie mani
sullo schermo magnifico del cielo
vivendo sempre in questo mondo ostile,
così placando con la mia passione
la tua feroce dissonanza e darti
una rosa del mio muto giardino.
Perché io amo i balsami segreti
delle tue mani che sanno attenuare
le mie pene del vivere. Le tue
celesti dita che sanno cantare
sulle mie gote canti di innocenza.
LE FORBICI DEL TEMPO
Per troppo tempo, amore, hai fatto finta
di non comprendere trafficando, spesso
in ginocchio, coi sogni e le parole.
Ma i sogni sono spesso senza fondo.
Su quest’ultima soglia, ora decisa,
pare che solo adesso tu ti avveda
del tuo volto allo specchio che la vita
ha deformato e il tempo incide. E quella
lacrima antica che scivola furtiva
dai tuoi occhi alla terra. Usuale.
Ora ti accade di guardare altrove.
Oltre il tuo freddo grigio conversare
senza costrutto, senza desiderio,
senza pietà né amore, oltre i giardini
che ci tolgono il sole. Oltre il passato,
l’ieri, i domani oscuri; oltre il segreto
del tempo. E ora ti pare di capire
che c’à qualcosa dentro il meccanismo
che ci uccide, una perfida rotella
che abbiamo conservato in una tasca
fin da dopo la nascita nascosta
nella nostra coscienza primitiva
e che ci ha per sempre avvelenato.
Ferma decisa sulla soglia, adesso,
credi di aver capito finalmente.
Ed aspetti qualcuno, qualche cosa
col sorriso stampato sulle labbra.
Annodi l’ora alla cupa stagione
e i giorni persi. E sembra che li scelga
scuotendo il capo, poi li culli appena
con rammarico freddo. Poi li conti
ad uno ad uno nel palmo della mano.
E poi li scruti per guardarvi dentro
e ti viene da piangere. Ora sai:
Troppo a lungo, per crescere, le tue
radici hanno piegato le tue ali.
LA NEBBIA QUELLA SERA ADDORMENTAVA
(per Alessandra I.)
La nebbia quella sera addormentava
la terra sul suo magico cuscino.
E il colore del cielo sarà certo
apparso differente alla tua vista.
Così sgomenta hai rigirato altrove
il tuo sguardo fingendo di cercarti
qualcosa nelle tasche che non c’era.
Ma tu cercavi inutili parole
capaci di riassumere un passato
che non sapeva dirti niente più.
Si sa, la giovinezza ha le ali mozze
e il vento intrufolandosi all’interno
gonfia speranze di futuri arditi.
Ma la vita ricerca braccia forti
e ricche di pazienze inesplorate.
Quella sera non c’era il vento buono.
Svelto fu il volo per la tua angosciata
anima frantumata clandestina
in un secco silenzio senza bene.
Pendono alla ringhiera le tue ali.
Le catene ha spezzato il tuo angioletto.
Il tuo sorriso eterno ora si è fatto
nell’abbraccio benevolo col cielo.
E il mare sotto il ponte più non s’ode.
Quietamente continua il suo cammino.
IN UNO SPECCHIO
Guardandomi cadrò senza capire.
E lascerò il racconto mentre stavo
soltanto riflettendo sul da farsi
per resistere ai danni di ogni giorno.
Credo che sarà inverno, perché oggi,
adesso - e non è colpa della brutta
stagione se non so sentirmi viva -
mai niente mi è sembrato così triste;
la mia mano sprezzata dalla tua
fretta ingiuriosa, le parole, il cuore
ipotecato da tutt’altre cose
che me. Che non ci sono dentro te.
Il tuo passo, il mio passo disperato
sospesi sopra il ciglio di un abisso
lontano da ogni cosa: tutto questo
in un istante sparirà e spaurita
io sarò cancellata dalla carta
geografica del vivere. Una storia,
un desiderio di esistenza avranno
perduto ogni sostanza. Ogni pietà.
Nessuno saprà mai che una speranza
sacrificata di felicità
si sarà cancellata. E prima c’era.