Tra il calore che arriva da sotto il terreno e quello che arriva da sopra, dal cielo, non si respira. Non è l’Africa, va bene, ma è pur sempre quel caldo a cui qui non si è abituati, e arrivare alle due del pomeriggio e dover mettersi in cammino alla ricerca di un posto dove dormire certo non aiuta. Non ci vuole molto in verità, girando per le tre o quattro strade deserte di Rotorua di ostelli se ne incontrano almeno una decina. Ci sono i soliti, il YHA e il Base, ma poi c’è il Central Backpackers, l’Astray, il Planet, e così via. Ne scelgo uno a caso, mi ispirano le finestre, e finisco per trovarmi in una stanza senza letti a castello, che se non altro è un bonus.
Ma tutti questi ostelli chi li riempie? Che ci vengono a fare tutti questi turisti nell’addormentato paesino di Rotorua? Ci ho provato a capirlo, ma non ci sono riuscito. La grande attrazione che attira i migliaia di visitatori da queste parti è l’attività geotermale che in questa area della Nuova Zelanda è più forte che in qualcunque altra e, apparentemente, non sono solo turisti quelli che arrivano, ma anche scienziati e studenti che vengono a investigare su questo fenomeno da vicino. E poi ci sono le terme, che male non fanno. Il fatto è che a Rotorua la grande attività geotermale è rappresentata da tre buchi fumanti nel terreno. Buchi che non solo fumano, ma puzzano anche. E questo è tutto. Si è vero, c’è il lago, carino ma non più qualunque altro lago del mondo, e sì c’è il villaggio maori, che è in verità poco più di un gruppo di case. Ma finisce lì, soprattutto se, come nel mio caso, si è a piedi o soltanto di passaggio.
Un po’ scoraggiato per aver perso una giornata concludendo ben poco, la mattina successiva mi sveglio presto per organizzare la tratta successiva in direzione nord. E, come sempre, gli incontri migliori arrivano al momento di ripartire. Le due italiane intente in un magro pranzo vegetariano riescono in qualche modo, vibrazioni positive direbbero loro, ad attirare la mia attenzione. Dopo le solite domande di rito – “Didoveseidovevaicosafai?” – attraverso un trabocchetto che avrei forse preferito evitare, entriamo in una discussione che nelle successive due ore riuscirà a ribaltare ogni possibile teoria scientifica mai provata, al motto di “Le malattie non esistono”. “Ma come le malattie non esistono?” chiedo io con il naso un po’ storto alla fisioterapista milanese impegnata nel suo viaggio spirituale “Basta guardare gli indiani” mi racconta da buona hippie appena tornata da Goa “loro nel Gange ci si lavano, ci buttano i morti, ci pisciano, ci fanno il bucato.. e poi quell’acqua la bevono! E non gli succede nulla!” A parte che io che questi indiani non si ammalino non l’ho letto da nessuna parte, rimango comunque un po’ perplesso e comincio a cercare risposte a domande come “Ma il cancro? L’Aids? L’epatite? Cioè, la gente muore”, per sentirmi frustato sulla schiena da risposte del tipo “Non è vero, non sono le malattie ad uccidere. È la paura. Le grandi case farmaceutiche ci spaventano ricordandoci sempre delle malattie, e noi non essendo tranquilli ci ammaliamo. Chi è in pace non conosce malattia. Ci vogliono controllare, guarda le sigarette: ci sbattono in faccia ogni giorno “Il fumo uccide”, “Il fumo provoca il cancro” ma non è vero! È la paura di ricevere il cancro che provoca il cancro!”
Non ancora abbattuto dalla raffica di cazzate appena ricevuta, ritento “Ma se mi gonfio di eroina allora? Se bevo venti litri di Coca Cola? Non muoio?” “Se sei in pace con te stesso, non ti succederà niente, la mente controlla tutto, la mente è l’unica medicina”. Invano provo a citare The China Study, il più grande studio mai fatto sulla relazione tra cibo e tumori “Cazzate! Sei un idiota tu a credere a tutti quegli scienziati manipolati delle multinazionali”. “Finché mangerai ciò che è in armonia con il tuo io, questo ti farà bene, se una cosa ti piace, non importa cosa sia, sei tu a salvare te stesso”, “Ma come faccio a sapere se qualcosa mi piace, o se mi fa bene, se prima non la mangio?” “Ah, giovane illuso, il piacere non è il gusto, prendi questa banana, è il tuo corpo a dirti se è giusta per te, ma la devi saper ascoltare. Ascolta la banana!”
“Sai, qualche anno fa mi sono state trovate delle cellule tumorali nell’utero” mi racconta sulla via verso la stazione “ho divorziato e sono partita per un viaggio, dopo due mesi erano scomparse. Avevo trovato me stessa e mi ero curata, senza medicine. Le medicine non esistono, sono solo un’arma delle case farmaceutiche.”
“Ma chi ti ha diagnosticato il problema?”
“Il medico..”
“Ma se la medicina non esiste che ci vai a fare dal medico?”
“…”
E fu con questo finale glorioso colpo che salì sul mio autobus a petto gonfio, per trovare un Maori che guardandomi in faccia, bruciato dal sole e non troppo profumato, pensò bene di provare a vendermi dell’erba. Per un altro viaggio spirituale ovviamente.