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Pur non essendo una grande appassionato di Formula Uno ho dei ricordi abbastanza netti sulle figure del circus di quegli anni: ricordo Lauda e il suo incidente, la figura quasi paciosa di Regazzoni e tante altre figure che hanno travalicato il ruolo del semplice pilota di macchine da corsa per arrivare a lambire il mito, quali Gilles Villenueve o Ayrton Senna ( dei suoi duelli con Alain Prost il ricordo è assai vivido e dopo aver visto Rush sembra quasi che siano semplicemente una riproposizione con altri interpreti, forse anche migliori, della rivalità Lauda/Hunt).
Di Hunt il ricordo è invece assai sfocato: ha avuto più il physique du role della meteora con quell'unico campionato mondiale vinto e quel suo essere così sfacciatamente libertino.
Ero quindi molto curioso di vedere Rush giusto per vedere come il classico regista hollywoodiano ( e al giorno d'oggi Ron Howard è il più classico dei registi hollywoodiani) trattasse una mitologia squisitamente europea come quella della Formula Uno, sport che negli USA non ha mai sfondato a livello mediatico e di pubblico.
A scanso di equivoci c'è da dire subito che Rush è un buon film: confezionato alla grandissima con una ricostruzione degli anni '70 che quasi mozza il fiato, fotografato benissimo, recitato in maniera ottimale da due attori che, seppur antropometricamente poco adatti ( sono degli omaccioni a confronto degli scriccioli che erano e sono i piloti di Formula Uno), cercano di mimetizzarsi all'interno dei loro personaggi proprio per rievocare la mitologia di quegli anni e con una sceneggiatura, scritta dall'inglesissimo Peter Morgan che complessivamente funziona, accattivante e appassionante nei momenti giusti.
Siamo però ben lontani da qualcosa di epico, qualcosa che ci spieghi veramente l'aria che si respirava in quegli anni in quanto Rush presenta tutti i pregi e i difetti del cinema hollywoodiano.
Perfetto dal punto di vista formale ma assolutamente privo del pathos che si conviene e questo perchè al di là dell'Oceano hanno sempre la tendenza a ritenere lo spettatore molto meno intelligente di quello che è, appiattendo personaggi e vicende in modo da renderle comprensibili il più possibile al grande pubblico.
In questo il disegno dei protagonisti è abbastanza manicheo: da una parte abbiamo lo sfacciato edonista, tutto fumo, alcool, donne e acceleratore sempre premuto a tavoletta, costi quel che costi e dall'altra parte abbiamo una specie di ragioniere delle quattro ruote, freddissimo, calcolatore, tutto casa e officina che dopo l'incidente diventa una specie di Freddie Krueger ad alto numero di ottani e che non se la sente più di rischiare la vita per un semplice Gran Premio di Formula Uno.
Personaggi disegnati in modo se vogliamo grossolano proprio per evidenziare il loro essere opposti e contrari in tutto e per tutto e per creare a tavolino una rivalità probabilmente molto più accesa di quanto fosse in realtà. Lauda e Hunt non erano nemici: erano solo due interpreti diametralmente opposti dello sport che praticavano, in fondo sentivano la solidarietà tra colleghi e forse anche qualcosa in più perchè in un mondo in cui di amici veri ce ne sono pochi, l'uno era il punto di riferimento dell'altro, anche solo per andare più veloce con la macchina per semplice spirito competitivo.
Perchè il rispetto tra i due era qualcosa di ben tangibile.
A Ron Howard non interessa la corsa, interessano gli uomini che sono dentro quelle bare con le ruote, cercare di capire il perchè rischiano la vita ad ogni corsa, che cosa li spinge a fare quello, cerca di individuare l'adrenalina che gonfia il cuore e fa scorrere il sangue nelle vene di questi piloti che si votano volontariamente a un possibile martirio nel bel mezzo della pista.
Perchè all'epoca la Formula Uno uccideva e anche parecchio.
Il problema di Howard è che non riesce ad arrivare a tutto questo, come quasi sempre gli è successo in tutta la sua carriera, perchè pur prediligendo uno stile che più classico non si può , la sua statura registica è nettamente inferiore a quella dei grandi della Settima Arte.
Howard si ferma alla superficie, confeziona un film impeccabile che però arriva più agli occhi e al cervello che non al cuore, mette al centro due personaggi a loro modo esplicativi di quel mondo e li racconta a modo suo con tutti i pregi e i limiti del cinema hollywoodiano odierno.
L'immagine che ho del Niki Lauda di quegli anni non è tanto il suo volto sfigurato quanto quegli incisivi molto sporgenti e quel suo strano modo di sorridere, un ghigno più che un sorriso.
Ron Howard mi ha tolto anche questo ricordo.
Anche se mi ha regalato nel finale le immagini vere di Hunt e Lauda , un vero tuffo al cuore.
Ecco , forse si....tardi, ma l'emozione alla fine, è proprio il caso di dirlo, è arrivata....
( VOTO : 7 / 10 )
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