Sarà la coincidenza astrale di chissà quali pianeti, sarà l’inizio di un nuovo anno che porta con sé potenziali insospettabili… Sarà quel che sarà, fatto sta che da una settimana i giochi di parole non mi danno tregua.
Sabato scorso ho scoperto Dixit, un gioco da tavola il cui scopo è indovinare, attraverso un solo indizio, qual è la carta illustrata scelta dal narratore di turno; poi è stata la volta di Ruzzle ormai immancabile a ogni primo accenno di pausa dal lavoro, dallo shopping, dal dormire, dal cucinare… e aggiungete a piacere i verbi che volete, fatto? (Scusate, momento Muciaccia).
Ci ho preso tanto gusto a scovare parole che ieri ho anche voluto rispolverare Scarabeo, il caro vecchio e rassicurante gioco da tavola.
A questo punto dovrei essere una campionessa pronta per la sarabanda delle parole impossibili, e invece niente, la sconfitta totale. Perché? L’interrogativo della settimana, ossia perché riesco a vivere scrivendo ma non sono brava ai giochi di parole merita una lunga riflessione da parte mia, e forse Ruzzle, Dixit e Scarabeo sono sbucati non a caso attorno a me.
Il punto di questo post voleva in realtà essere un altro: perché sono così tanto di moda i giochi di parola? Prendete Ruzzle per esempio: è l’app più scaricata su Android e Apple. Perché?
Forse abbiamo bisogno di riscoprire nuovi termini per sopravvivere al piattume linguistico, forse giocando ci sentiamo più autorizzati a sfoggiare termini adusi (wow!) che risulterebbero altrimenti fuori luogo; o forse Ruzzle, Scarabeo & Co. sono così semplici e accessibili a tutti che giocarci è uno stimolo continuo alla partecipazione, alla conoscenza e alla riscoperta della lingua italiana tanto complessa quanto completa.
L’unico guaio è il tempo: per intravedere un senso tra tante lettere pescate e messe lì a casaccio servono tempo e riflessione, cose che mancano ai giochi, anche a quelli di parole, perché la mance dev’essere conclusa entro tot minuti.
Ora che ci penso, forse le mie sconfitte si spiegano così: a me piace assaporare le parole, ricercarle, e se ricordo quello che al mattino ho letto sull’e-mail quotidiana di unaparolalgiorno, pronuncio anche l’etimologia. Per questo serve tempo, e io non riesco ancora ad adattarmi ai ritmi di gioco di parole che della riflessione un po’, francamente, se ne infischiano.
Ecco un valido buon proposito per il 2013: diventare brava e vincere i giochi di parole.