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Rwanda, basta con i luoghi comuni

Creato il 26 maggio 2012 da Dragor

  Lieu commun

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 Come sapete, detesto i luoghi comuni. Tutti, da quelli selvaggi a quelli istituzionali. Mi ostino a pensare che, prima di pronunciare un giudizio, la gente dovrebbe fare il piccolo sforzo di documentarsi, invece di ripetere come pappagalli giudizi fabbricati da altri. E se non chiedo troppo, anche usare il cervello per farsi un’idea delle cose che sia il più possibile vicina alla realtà. Ma c’è un luogo comune che mi fa andare uno strano effetto sul sistema nervoso. Dico la verità, se lo sento ancora, potrei avere delle reazioni incontrollate. Non sapevo di essere arrivato a questo punto d’insofferenza, l’ho scoperto ieri sera.

   Dopo una giornata massacrante ho detto: “Adesso vado al Serena e mi prendo un bell’apéro lontano dal lavoro, dalle case da arredare e dalle famiglie rompiscatole. Cosi’ vado al Serena, mi allungo su una favolosa sdraio vicino alla piscina con le rocce artificiali, ordino una bottiglia di succo di maracuja e avrei fatto il pieno di vitamina C in pace con me stesso e con il mondo se in quel momento un grosso ’zungu non fosse calato su di me. Per cominciare, detesto la solidarietà fra bazungu. Non capisco perché uno ‘zungu debba calarmi addosso soltanto perché sembro bianco. Anche se sono chiaro, non significa che sia un muzungu come lui. Non lo conosco, è un estraneo, non abbiamo niente in comune. Io sono Rwandese, non credete alle apparenze. Lo ‘zungu in questione ha cominciato a blaterare: “Oh, com’è bello il Rwanda. Sono appena arrivato e mi sono già innamorato di questo paese. Sembra la Svizzera, non trova? Cosi’ pulito, cosi’ ordinato. Sembra incredibile che solo 17 anni fa sia successo quello che è successo.” L’ho guardato in silenzio, continuando a bere la mia maracuja. “Un milione di morti, forse un milione e mezzo. Ecco il dramma dell’Africa, le etnie. “ Ha abbassato la voce. “Per forza, per secoli i Tutsi hanno perseguitato gli Hutu e loro si sono vendicati.”  

   A quel punto mi è accaduta una cosa strana: ho provato un impulso omcida. Mi sono meravigliato per la sua violenza. Avrei voluto spaccargli la bottiglia sulla testa, buttarlo nella piscina o magari le due cose insieme. Mi sono accorto che la mia mano stava per afferrargli il davanti della camicia e mi sono affrettato a ritrarla utilizzando tutto il poco autocontrollo che mi restava. Mi sono limitato a domandargli: “Chi gliel’ha detto?” “Lo sanno tutti.” “Ah.”   

   Cosi’ vi prego, prima di ripetere come pappagalli le scemenze che vi mettono in testa i colonialisti nostalgici del potere, i genocidari in esilio e i preti per nascondere le loro responsabilità e liquidare tutto come uno scontro etnico, leggete una storia del Rwanda, magari scritta da uno dei primi bianchi che ci sono entrati e che hanno trovato un paese vergine. Per esempio quella di Richard Kandt. Scoprirete che il Rwanda è sempre stato un paese unito dove non ci si è MAI, dico MAI, ammazzati per motivi razziali finché nel 1957 un maledetto prete di nome André Perraudin non ha creato il movimento dell’Hutu Power per vendicarsi del re Mutara III che aveva chiesto all’ONU l’indipendenza del Rwanda e la partenza dei missionari. E’ stata una delle più sporche operazioni colonialiste della storia. E se ripetete i suoi slogan, ci mettete la vostra firma.   

Dragor


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