Il presidente rwandese Paul Kagame ha lanciato la campagna per la sua rielezione. Dopo le elezioni del 9 agosto con ogni probabilità succederà a se stesso per altri 7 anni, visto che i suoi soli 3 avversari provengono dal suo stesso partito, il Fronte Patriottico Rwandese, anche se per salvare di apparenze fingono di appartenere a partiti diversi.Secondo gli osservatori il presidente ha la mano pesante con l’opposizione: arresti di oppositori, arresti di giornalisti, soppressioni di giornali, scioglimento di partiti: Ma Kagame si difende dicendo che l’opposizione, se vincesse le elezioni, l’avrebbe ancora più pesante con il regime, come dimostra il genocidio commesso quando l’opposizione era al governo.
Per quando cerchi di dissimularlo con generici appelli alla democrazia e all’uguaglianza, all’opposizione scappa l’etnismo, il peggior crimine nel Rwanda di oggi dove ufficialmente non esistono Tutsi e Hutu ma soltanto Rwandesi. Le scappa perché, negli appelli alla democrazia, salta sempre fuori un “noi siamo la maggioranza”. Attenzione, questa maggioranza non è comunista, fascista, socialista, democristiana, socialdemocratica o verde, in poche parole politica. No, “noi” significa Hutu, quindi si tratta di una maggioranza etnica. Come se in Italia “noi” significasse romani, piemontesi o addirittura razza alpina, mediterranea, adriatica o nordica.
E che cosa sogna di fare questa maggioranza, una volta preso il potere? Semplicissimo, restaurare l’ancien régime. Certo, non lo confesseranno mai. Sono finiti i tempi del partito Parmhutu che reclamava esplicitamente il potere Hutu. I suoi eredi hanno imparato la lezione, si sono fatti furbi. Dichiarano di volere libertà, uguaglianza e fraternità, ma guarda caso festeggiano le ricorrenze del passato regime: l’ascesa al potere di Grégoire Kaybanda nel 1961 e quella di Juvénal Habyarimana nel 1975. Una volta al potere ricomincerebbero a parlare del “problema” Tutsi. E sappiamo bene come lo hanno risolto: con un milione di morti.
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