Révérien ha un solo braccio.Malgrado le operazioni alle quali si è assoggettato in Svizzera, il suoviso è ancora sfigurato.Il suo petto è coperto di cicatrici, le lesioni al collo gli impediscono di tenere la testa diritta, al posto di una gamba ha una protesi. Réverien è in queste condizioni perché il 26 maggio 1994, quando aveva 15 anni, il suo vicino di casa Louis Kabanda, gestore di un bar del quartiere, è entrato con altri squadristi nella stalla in cui si era nascosto con lafamiglia e ha massacrato la famiglia a colpi di machete sotto i suoi occhi: il padre, la madre, gli zii e le zie, i fratelli. In tutto una quarantina di persone. Quando è arrivato da Révérien, era sudato e aveva il fiato grosso.“Facciamola finita, sono stanco, voglio tornare a casa”, ha detto mentre le sue figlie spogliavano i morti ridendo. “E tieni giù quel braccio, accidenti.”Révérien lo aveva alzato per proteggere Pierre, il suo fratellino di 6 anni, che si stringeva contro di lui. Con un colpo di machete Kabandagli ha tagliato il braccio, con altri colpi ha ucciso Pierre, poi si è accanito su Révérien. Ma era stanco e i suoi fendenti non avevano più la forza di prima, così ha solamente mutilato Révérien, poi se n’è andato credendolo morto come gli altri. Ma Révérien è sopravvissuto per raccontare la sua storia.
Dopo un periodo passato in Svizzera, ha voluto tornare nel suo paese. E là ha scoperto la sorte che tocca a chi porta sul proprio corpo un ricordo del genocidio che nel 1994 in Rwanda ha fatto un milione di morti, del quale ricorre in questi giorni il 16° anniversario. “ Finiremo l’opera”, gli sussurrava ogni tanto una voce per la strada. Chi aveva parlato? Tutti e nessuno. Uno dei tanti cittadini rwandesi che considerano ancora i tutsi come un“problema” da risolvere con il machete.Uno dei tanti assassini sfuggiti alla giustizia perché sono troppo numerosi, gran parte della popolazione rwandese. Uno dei tanti assassini incarcerati e poi dimessi dopo una breve detenzione, perché le prigioni non sono abbastanza grandi per contenerli tutti. Uno dei tanti assassini per i quali non si sono trovati i 10 testimoni richiesti dalla legge per accusarli. E non c’è da stupirsi che non si trovino, perché appena scarcerati molti assassini si vendicano eliminando sistematicamente i testimoni. Dal 1995 sono recensite ufficialmente 167 vittime tutsi. Jacques Ntigurirwa, sopravvissuto al genocidio, è stato ferito mortalmente il29 mars 2008 da hutu armati di coltelli. Jean Paul Muvunyi, sopravvissuto al genocidio, è stato selvaggiamente assassinato la notte del 17 marzo 2008. Dopo averlo strangolato, gli assassini lo hanno colpito nal viso con il machete. La notte del 7 gennaio 2009 Onesphore Ngendahimana è sua moglie sono stati uccisi da una granata lanciata nella loro casa da hutu genocidari perché non potessero testimoniare in tribunale...
Così il genocidio non è finito nel 1994 quando l’armata vittoriosa di Paul Kagame ha assunto il controllo del paese, ma continua al rallentatore con uno stillicidio di morti in quello che è attualmente considerato il paese più sicuro dell’Africa con un ‘economia in pieno sviluppo.Nell’ansia di promuovere la riconciliazione nazionale, il governo sacrifica la giustizia alla ragion di Stato e non sembra molto motivato per giudicare gli assassini, chiaramente temendo di alimentare la fiamma della divisione etnica. E’ proibito perfino pronunciare il nome delle etnie, chi dice Tutsi e Hutu rischiafino a 7 anni di prigione per divisionismo. Ufficialmente esistono solo cittadini rwandesi. Ma la divisione esiste e potrebbe manifestarsi alle elezioni del prossimo ottobre, quando l’opposizione cercherà di prendere il potere per governare contro l’etnia avversaria. E allora qualcuno si ricorderà dell’ingiunzione “mai più”, che ci è tanto cara soprattutto quando è troppo tardi?
Dragor
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