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I8 anni fa, più o meno a quest’ora (sto scrivendo alle 18,30 di sera) il Falcon 50 che riportava in Rwanda il presidente Juvénal Habyarimana veniva abbattuto da un missile nei pressi dell’aeroporto e cominciava il terzo genocidio del ventesimo secolo. In meno di 100 giorni oltre un milione di Tutsi e di Hutu moderati venivano massacrati dai loro nemici politici: il governo interimario rwandese, la Francia e la Chiesa Cattolica.
Forse qualcuno dirà: non fare come gli ebrei che dopo 67 anni continuano a rompere con il loro genocidio. A parte il fatto che gli ebrei hanno perfettamente ragione di rompere, perché al mondo c’è una quantità di negazionisti pronti a spergiurare che gli ebrei non sono mai stati genocidati, noi abbiamo ogni ragione di rompere per lo stesso motivo. Sia ben chiaro: chi nega un genocidio desidera nel suo intimo la replica. Come, non sono ancora morti tutti? Presto, un altro genocidio per eliminare i superstiti.
Ne abbiamo abbastanza dei bugiardi che continuano a diffondere la tesi del “doppio genocidio”, ribaltando i ruoli degli aguzzini e delle vittime. Ne abbiamo abbastanza delle sussiegose commissioni francesi che vengono da noi a “indagare” mentre sul proprio suolo la Francia protegge vergognosamente gli assassini. Ne abbiamo abbastanza dell’Italia che viene qui a piagnucolare con il cattococco Veltroni mentre in patria i suoi amici preti fanno l'amore con gli assassini. Ne abbiamo abbastanza degli USA e del Canada che pretendono di farci la morale mentre si rifiutano di estradare gli assassini. Ne abbiamo abbastanza delle menzogne diffuse dai preti con i loro media. No, cari, finché praticherete il negazionismo in modo esplicito o strisciante, dovrete sorbirvi le nostre commemorazioni ogni 6 aprile e magari anche per tutto il resto dell’anno. Una semplice questione di par condicio. Staremo a vedere se prevarrà la storia o la negazione.
Dragor