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Una partenza sprint con due mete in dodici minuti: prima la seconda linea Julien Pierre al 4’ poi Francois Trinh-Duc per il doppio break, ma con l’ultimo scatto verso l’area interrotto dal ritorno di gran carriera degli ultimi combattenti nella giungla. Mete in entrambi i casi favorite dalla perdita del possesso del Giappone che, per l’appunto, scende in campo con tutti i suoi limiti, soprattutto la mischia ordinata, ma per lo meno mostra spirito di iniziativa prendendo a proprio modo le misure nel corso della ripresa quando, con il pack in netta sofferenza, riesce comunque a mantenere l’ovale e a giocarlo al largo dove i trequarti si incaponiscono a muoverlo alla mano, salvo quando interviene l’apertura James Arlidge che in quanto a mira tra i pali non è il massimo, ma per quello che riguarda il calcetto tattico ci sa fare e la fortuna lo premia, come succederà al 30’, quando i suoi avanti portano giù la palla dalla rimessa nei 22 nemici: l’apertura di Kirwan prova a scardinare la muraglia francese con un tocco al piede che viene stoppato da sinistro di Trinh-Duc, salvo ritrovarsi l’ovale nuovamente tra le braccia e allora ha lo spazio per andare fino in fondo.
È il 20-8, perché nel frattempo Yachvili ha allungato dalla piazzola. La Francia ha il compito di reagire immediatamente per ribadire che non vuole scherzi e lo fa a suo modo, con Yachvili che innesca il biondone Aurelien Rougerie che a sua volta serve nello spazio il lanciato Vincent Clerc per la terza meta transalpina al 35’. Tre minuti più tardi, di nuovo Alridge dalla piazzola aggiunge tre punti al computo dei giapponesi per il 25-11 sul quale si andrà negli spogliatoi. A conti fatti, sono le abilità dei singoli a levare le castagne dal fuoco per Lievremont – chissà che trattamento gli riserverà la stampa cugina.
Ci sono i Cedric Heymans che danzano sui piedi per sfuggire alla rete di pressing portata dagli asiatici, ormai disposti a rischiare perché tanto il gioco vale la candela: perdere per perdere, meglio farlo tentando il tutto per tutto e mettendo paura ad avversari tecnicamente e tatticamente superiori. Ci sono gli Imanol Harinordoquy che fa gli straordinari nei raggruppamenti e poi ci sono i capitani alla Thierry Dusatoir che ad un certo punto, parlando con l’arbitro Walsh, indicano la via dei pali per andare sul sicuro.
Dall’altra parte del fronte, ci sono i tallonatori alla Shota Horie che si inventano calcetti a scavalcare la linea di esterno destro, con il corpo di sbieco. O ancora, i piccoli alla Atsushi Hiwasa, mediano di mischia, che fa il suo ingresso verso il finale di gara tra le pacche sulle spalle dei suoi giusto per ribadire che ci entra in campo, non può tirarsi indietro. Comunque, i francesi non giocano e cedono in fase di copertura, arrivando morbidi all’impatto e poi si trovano a rincorrere i samurai che si buttano determinati alla contesa del possesso, finché il solito Alridge (tutti suoi alla fine i punti del Giappone) non fugge con fin troppa facilità alle marcature incrociate di David Marty (appena entrato al posto di Fabrice Estebanez come primo centro) e Rougerie. E’ il 49’, Alridge converte e si arriva al 25-18.
Partono i cambi, con William Servat che cede il posto a Dimitri Szarzewski: Servat che si becca il rimprovero di ciuffo Walsh per aver volontariamente interrotto la trasmissione al largo giapponese con una manata, a dimostrazione che la Francia pecca di atteggiamento supponente. Roba che capita. Cambi anche in mediana, con l’ingresso di David Skrela per Trinh-Duc e Morgan Parra al 61’ per lo stesso Skrela, problemi ad una spalla. Soprattutto, con l’ultimo quarti cambia definitivamente il leit motiv del match.
Il Giappone è sulle gambe, gli spazi si allargano e la Francia ne approfitta, andando a marcare pesante tre volte in dieci minuti con Lionel Nallet al 70’, Pascal Pape al 77’ e Parra allo scadere: va in cattedra lo champagne, con le poche bollicine arrivate giunte in tutta la loro corposità in questa prima neozelandese.
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