In una intervista del 2006 a Jessica Abel sul Comics Journal (celebre rivista di critica statunitense) l’autrice di opere quali Artbabe e La Perdida (pubblicate in Italia da Black Velvet) ha messo in luce quella che sembra essere una delle caratteristiche del mondo del fumetto: ogni autore deve re-inventare da sé la tecnica necessaria a raccontare una storia.
Vale a dire che, per ragioni culturali, didattiche, pedagogiche, ecc. gli autori costruiscono il proprio stile e la propria tecnica sperimentando e provando in prima persona. Come visualizzare una particolare situazione, come guidare la narrazione, come lavorare sul ritmo…
Attraverso un processo pratico che avviene per successivi processi di astrazione si dà forma a uno stile e a una teoria del fumetto. Essendo scarsa quindi una condivisione di questi percorsi artistici, autori diversi sono impegnati nelle stesse ricerche, “inventando” ex-novo qualcosa che già esiste, che già altri autori hanno “inventato”.
Non è raro sentire molti sceneggiatori fare riferimento a tecniche cinematografiche o letterarie, ereditate e teorizzate in forme artistiche altre. è un problema culturale e formativo. A meno che non si abbia l’opportunità di lavorare per un certo periodo con autori affermati, in quelli che un tempo si chiamavano studi e che oggi sono qualcosa d’altro, dove si mette in moto un processo tipico dell’apprendistato (gli studi sono ancora fortemente presenti in Giappone, dove la produzione seriale è incalzante e dove si stampano centinaia di migliaia di pagine all’anno).
Jessica Abel conclude sottolineando la fatica e il tempo che è richiesto a un autore motivato per trovare la propria strada personale e “indipendente” e afferma, in un perfetto meccanismo circolare, che è stato solo attraverso la sua attività di insegnante del fumetto che ha potuto (dovuto) dare forma concreta a metodi e tecniche estrapolandoli dalla pratica.
Non sorprende quindi scoprire che Gipi, ogni qualvolta si impegna nella realizzazione di un nuovo lavoro, rimette completamente in discussione la propria tecnica e il proprio modo di narrare, alla ricerca di nuove modalità funzionali al tema del racconto.
Che si illude, con felice ingenuità, di sperimentare per la prima volta un meccanismo narrativo o uno stile “mai utilizzato in precedenza nel fumetto” (si legga in proposito l’intervista già pubblicata sul nostro sito).In questo, Gipi, fenomeno riconosciuto del mondo dei fumetti italiano e mondiale, dove i fenomeni recenti sono rari e spesso misconosciuti, rappresenta una costante e non un’anomalia.
L’anomalia piuttosto sta in altro, e si riafferma prepotentemente con il suo ultimo romanzo S., pubblicato come i precedenti dalla Coconino Press.
Gipi, qualunque sia lo stile narrativo utilizzato, ha un perfetto, istintivo senso dell’equilibrio tra popolare e autoriale, tra autobiografia e fiction, tra complessità e semplicità. Ha una sensibilità unica nel convincere i lettori più diversi con la freschezza della sua narrazione, che in alcuni momenti ammalia e seduce (grazie anche alla splendida tecnica al tavolo da disegno) e in altri scuote e ferisce.
L’anomalia, quindi, è la capacità di sintesi che coniuga un percorso mentale, creativo, emotivo complesso in un risultato comunicativo e simbolico semplice, immediato, multiculturale. Ed è tutto lì, nelle pagine dei suoi libri, nelle scelte estetiche, nel ritmo, persino nel lettering. E’ mostrato al lettore con un sottotesto presente e percepibile da chiunque. Diversamente interpretabile, diversamente valutabile (in funzione di parametri critici propri di ogni lettore, strutturalmente molteplici e divergenti), ma a tutti visibile.
S. è una storia autobiografica che nasce come esigenza narrativa dalla recente scomparsa del padre Sergio. E’ un racconto efficace, sincero, maturo e toccante, che rifugge ogni manierismo ed effetto melodrammatico e retorico. Ci presenta i ricordi intrecciati di una coscienza ferita dalla perdita (quella dell’autore), attraverso la rievocazione di gesti e parole (“S. dice…“) del padre scomparso, nel senso di morto, nel senso di assente alla vita, assente all’azione.
Non vi è alcun intento cronacistico, se non nel racconto del funerale e della trafugazione dell’urna contenente le ceneri del defunto, perché in primo piano ci sono le emozioni e alcuni, pochi momenti condensati e rielaborati. E’ un percorso circolare che rappresenta efficacemente la complessità del pensiero umano, mai lineare, che procede per accostamenti, associazioni a volte poco comprensibili, astrazioni e sostituzioni, con un filo rosso che non è dato dal procedere degli avvenimenti ma dal tessuto emotivo comune, malinconico, delicato e rabbioso insieme; una consistenza emotiva traslucida che raggiunge con forza il lettore e che sembra essere una costante dei racconti di Gipi, spesso dolcemente feroci.
La tragedia dei bombardamenti statunitensi della Seconda Guerra Mondiale, una gita in barca in una località off-limits, un paio di stivali usati, il funerale, l’amicizia col proprio cugino… i ricordi sono intrecciati perché necessari alla coscienza. Ma non costituiscono, insieme, il pretesto per dare forma alla teoria di un uomo, non vi è l’intento di dare un senso, un valore, ai comportamenti di Sergio, né di definire la qualità di un rapporto padre-figlio. Al termine del racconto sapremo pochissimo di Sergio o della moglie di Sergio, la madre di Gipi, se non dei loro sguardi, di alcuni pilastri che ne hanno sostenuto il rapporto (la tragedia della guerra che ha sottratto i familiari della madre di Gipi e l’ha spinta a cercare e trovare sostegno nella famiglia del padre; il bisogno di emancipazione e libertà del padre, che si riproduce con perfetto salto generazionale nel figlio; il gusto del viaggio in barca, dell’aria sul volto, del profumo del mare; ecc.), di piccoli avvenimenti ben poco significativi all’interno di una comune parabola di vita.
Questa assenza retorica, questo “vuoto etico” voluto e felicemente raggiunto da Gipi, fanno di S. un racconto universale, nelle cui vicende (ed emozioni) ognuno può identificarsi, qualunque sia la sua estrazione culturale, le sue convinzioni sulla Vita, la Giustizia, la Libertà.
Per questo lavoro Gipi prosegue la sua ricerca nell’uso dell’acquarello, esaltando la consistenza delle emozioni, il lato intimo e personale del racconto. Le mezzetinte, la lucidità dei tramonti, la morbidezza del tratto diffondono dolcezza e calore. Il rischio tipico di questa tecnica di cadere nel sentimentalismo manieristico viene neutralizzato da un lato attraverso il montaggio degli eventi, rapido, secco, non preannunciato, dall’altro attraverso l’uso dell’ironia, che stempera regolarmente i passaggi più intensi senza per questo indebolirli o ribaltarli, e infine con l’uso del lettering, sgraziato, disordinato, non censurato, in alcune parti al limite della non leggibilità. Proprio l’uso del lettering, così particolare e anomalo, esaltano la forza del fumetto come forma di comunicazione complessa, dove ogni singolo elemento è pregnante e decisivo nel dare sostanza a un contenuto e a una narrazione; e conferma la lucidità della ricerca artistica di Gipi, che mette tutto in discussione del proprio stile e dei molti cliché consolidati del medium.
S. è quindi un fumetto riuscito e vero, personale e necessario (all’autore e al lettore). Ma è anche una storia che non può essere apprezzata senza che il lettore faccia alcuni compromessi con se stesso.
Innanzitutto, al lettore Gipi chiede pazienza. Non è funzionale all’esperienza di lettura il desiderio di arrivare in fondo per sapere cosa succede. La necessità di una fabula strutturata, se c’è, viene elusa dalla circolarità onirica del racconto.E’ importante anche venire a patti con le proprie identificazioni (per usare un termine psicanalitico). La struttura aperta di S. favorisce la dispersione emotiva all’interno del racconto. Non vi sono punti di appoggio, se non i momenti di ironia, ai quali il lettore possa sostenersi per riprendere fiato dal proprio dolore e dalla propria malinconia. è un viaggio senza bussola, che richiede di avere completa fiducia nella guida, nella sincerità e lucidità del narratore. è un viaggio che non termina con una riconciliazione di alcun tipo.
E ancora, al lettore viene chiesto di rallentare, isolarsi un poco dal mondo intorno e dagli affetti, di abbandonare le corazze di cinismo che permettono di affrontare la quotidianità, di lasciarsi andare all’intelligenza emotiva. Il sentimentalismo è arginato dalla verità e dall’intelligenza, due elementi che sempre più raramente vengono sostenuti e affermati nella vita di tutti i giorni, in particolare nei media. S. può diventare una sveglia che chiede di essere ascoltata, una campana di consapevolezza che può aiutare a restituire un senso al nostro mondo psicologico e personale, ai nostri rapporti, alla nostra sofferenza, in un processo culturale improntato alla compassione, una compassione laica e civile insieme. La compassione della vita comune.
Abbiamo parlato di:
S.
Gipi
Coconino Press Fandango, ultima edizione 2013
112 pagine, brossurato, colori – 15,50€
ISBN: 9788876182549
Riferimenti:
Il blog di Gipi: giannigipi.blogspot.com
Il sito della Coconino Press: www.coconinopress.com
Alcuni articoli già pubblicati sul nostro sito:
L’intervista a Gipi su S.
Recensione di “Hanno ritrovato la macchina”
Recensione di “Questa è la stanza”
Recensione di “Gli Innocenti”
Recensione di “Appunti per una storia di guerra”
Intervista a Gipi: prima parte – seconda parte
Recensione di “Esterno notte”
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