Sa Die de Sa Sardigna. Come accade dal 1994, anno in cui è stato celebrato per la prima volta, anche oggi, 28 aprile, il Consiglio regionale della Sardegna ha celebrato Sa Die de sa Sardigna. Parlamentari, presidenti, assessori e consiglieri schierati solennemente, inno della Brigata Sassari, canti a tenores, Procurade ’e moderare, Barones, sa tirannia, qualche manifestazione organizzata per strada a Cagliari e Sassari. Poi più nulla, per un altro anno. Come se l’orgoglio, il rispetto della Sardegna, i diritti di un popolo, dovessero essere celebrati soltanto in un giorno prestabilito. E con il rischio sempre più concreto che Sa Die de sa Sardigna, anzichè la festa dell’orgoglio dei sardi, diventi una semplice occasione per gli studenti di non andare a scuola. Una delle tante ricorrenze obbligate di plastica. Tipo festa di San Valentino.
Sa Die de sa Sardigna
Sa Die de sa Sardigna, festa nazionale dei sardi, intende ricordare come ormai è noto il lontano 28 aprile 1794, quando una Sardegna prostrata cacciò i dominatori piemontesi. Come ha ricordato nel suo discorso odierno il presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, “quel giorno a Cagliari, migliaia di sardi di tutte le appartenenze sociali, uomini e donne, giovani e meno giovani, insorsero contro i Piemontesi, dando l’assalto al Castello espugnandolo e catturando lo stesso Viceré che fu poi imbarcato con tutti i cortigiani e i burocrati di regime e rispedito a casa”.
Sa Die de sa Sardigna, ha proseguito Ganau, “è un episodio storico che trae origini complesse da uno stato di malessere profondo del popolo sardo che a causa dell’intollerabile gravame delle imposizioni fiscali, all’aumento generalizzato e progressivo dei costi e alla corruzione dilagante, rivendicava da tempo una maggior partecipazione alle scelte e al governo dell’isola”.
Allora i sardi, dimenticati dai piemontesi e costretti a difendersi da soli dagli attacchi esterni, rivendicavano la loro autonomia, esigevano di aver voce in capitolo rispetto alle scelte del governo centrale. Chiedevano che le loro richieste fossero ascoltate.
Effettivamente si ribellarono, ma nei secoli successivi la Sardegna ebbe il tempo per rimangiarsi abbondantemente quell’anelito di libertà. Purtroppo i politici sardi erano troppo allettati dalle poltrone nel governo centrale e anche le lobby industriali del tempo non erano molto d’accordo con scelte troppo autonomistiche. A farne le spese il popolo, che ha sempre continuato a patire la fame e ad essere sfruttato subendo passivamente le scelte dei ricchi e dei notabili. Finchè la Sardegna non ha chinato nuovamente la testa, chiedendo la fusione perfetta al regno d’Italia. E rinunciando così alla sua autonomia, riconquistata con fatica nel ’48 ma ben poco attuata effettivamente.
Ma cosa è cambiato dal 1794 ad oggi?Anche oggi, celebrando Sa Die de sa Sardigna, la politica sarda ha protestato contro lo strapotere statale. Contro l’annunciata riforma del titolo V della Costituzione che – ha spiegato il presidente Ganau – modifica l’assetto dello Stato in senso fortemente centralista e rischia di svuotare l’autonomia e la specialità della nostra regione. La politica sarda, unanime, ha dichiarato solennemente al popolo sardo di non essere disposta a fare passi indietro nella difesa dei diritti della Sardegna. Ma, ci si chiede, riusciranno i maggiori partiti dello scacchiere politico isolano a mantenere la promessa e a mettere, a Cagliari come a Roma, gli interessi dei sardi al di sopra dei diktat delle segreterie romane?
Per l’ennesima volta, come succede da anni all’inizio di ogni legislatura regionale, la politica sarda ha dichiarato solennemente che è improrogabile riscrivere lo Statuto regionale, nonostante in sessant’anni la carta dei sardi sia stata applicata molto faticosamente e a piccole dosi. Ha poi rivendicato ancora una volta il diritto della Sardegna a veder riconosciuti i gap infrastrutturali derivanti dall’insularità, le difficoltà nei trasporti, il diritto ad avere energia a prezzi competitivi, il diritto di essere rappresentata nel Parlamento europeo.
Poi ha ascoltato, in religioso silenzio l’inno dei Sassarini e i canti a tenores. Procurade ’e moderare, Barones, sa tirannia.
E poi? Spacciàra Sa Die de sa Sardigna?
Sa Die de sa Sardigna sarà un giorno di vera festa quando in Sardegna i baroni di turno saranno messi finalmente e definitivamente fuori dai giochi di potere, quando sarà spazzata via la corruzione che secondo la Corte dei Conti incide in maniera pesantissima sui costi della nostra pubblica amministrazione. Quando saranno programmate e utilizzate al meglio le risorse disponibili, in primis quelle europee che rischiano di dover essere restituite al mittente. Perché non ha senso chiedere altre risorse se non si sanno programmare e spendere bene quelle che si hanno.
Sarà veramente Sa Die de sa Sardigna il giorno in cui ci sarà l’opportunità reale di accedere ai posti di lavoro, pubblici e privati, quando si sconfiggerà anche nella nostra regione la cultura mafiosa del clientelismo e della raccomandazione che sta scoraggiando tanti ragazzi. Quando ci saranno effettive pari opportunità. Quando i diritti saranno garantiti a tutti e non soltanto ai potenti. Quando la politica sarda dimostrerà con i fatti di sedere su quelle prestigiose poltrone per produrre, lavorare con capacità, buona volontà e onestà nell’interesse dei sardi. E quando gli stessi sardi smetteranno di essere complici delle ingiustizie quando queste sono a loro vantaggio.
Allora sì che sarà una bella Die de sa Sardigna da cui partire per le sacrosante rivendicazioni oggi ribadite nei confronti dello Stato.
Fino a quel momento Sa die de sa Sardigna sarà, per usare la definizione utilizzata nel suo discorso dal presidente Ganau che ne paventava il rischio, “una cerimonia imbalsamata e rituale, quasi obbligata”. Sarà un modo come un altro per regalare ai sardi un contentino, pur sapendo benissimo che, passato il giorno di festa, tutto sarà assolutamente uguale a prima.