Appuntamento davanti alla vecchia stazione di Porta Susa, questo sabato, per la cuoca che insieme all'amica Elisa si reca a vedere la mostra di porcellane antiche alla Fondazione Accorsi- Ometto in via Po a Torino. Di primo pomeriggio, per evitare orde di turisti e tronisti a passeggio nel centro della città, le due si dirigono verso la loro meta, transitando e chiacchierando per via Garibaldi, piazza Castello e via Po, non deserte ma piacevolmente frequentate.
Una signora in età con un cappello di pelliccia, insieme alla sua numerosa famiglia, una coppia di giovani fidanzati, lui alto e robusto, con i lunghi capelli raccolti in una coda, lei più piccola e smilza; se fossero vestiti in costume o indossassero un tricorno, potrebbero essere personaggi incontrati nel Settecento sotto i medesimi, immutabili portici.
Non fa particolarmente freddo, questo sabato, benché le previsioni avessero predetto tempo migliore; il cielo si stabilizza su un colore grigio, di atmosfera molto torinese. Dall'ordinato cortile del palazzo, svetta, poco lontana, la cupola della mole.
La mostra che le nostre amanti di servizi e vasellami si apprestano a vedere ha come titolo FASCINO E SPLENDORE DELLA PORCELLANA DI TORINO, e mette in esposizione porcellane delle manifatture Rossetti, Vische, Vinovo. prodotte tra il 1737-1825, quando, dopo la scoperta del caolino, tutte le corti europee provarono a riprodurre in proprio le preziose porcellane che prima importavano dalla Cina.
In esposizione si possono quindi trovare servizi da tè e da cioccolata, piatti, zuppiere per lo più provenienti dalla collezione conservata al Palazzo Reale di Torino; e, in più, anche oggettistica: fibbie, spole, lava occhi, ed anche bassorilievi e gruppi statuari, sia in porcellana bianca che nell'opaco bisquit.
Un gruppo in particolare attira l'attenzione della cuoca, che si interroga sulla natura del dono: si tratta di un gruppo celebrativo della dinastia sabauda, datato all'incirca tra il 1776 e il 1779, in cui al re vengono offerti doni.
"Frutta" si chiede la cuoca "o peperoni?" Non volendo credere all'evidenza, confermatale dall'amica, di cuori fiammeggianti. Ma di frattaglie veramente pare trattarsi, ahimè. Dieci anni dopo, il diluvio, con la rivoluzione francese.
Poco più in là un altro squisito quesito attende le nostre: quale sarà il piatto vero - ossia quello cinese - e la copia - ossia il piatto di Mondovì - tra questi due manufatti simili per soggetto ma non per qualità. La risposta è il piatto più bello, quello sullo sfondo è l'originale cinese; bei tempi antichi, quando eravamo noi a copiare dai cinesi e producevamo prodotti di qualità inferiore.
L'ultima sala del percorso propone uno degli allestimenti del percorso della mostra permanente, che ospita i tesori di antiquariato collezionati dall'antiquario Pietro Accorsi, fondatore della collezione che venne per sua volontà dopo la sua scomparsa nel 1982 trasformata in fondazione e museo.
Si tratta della sala da pranzo, con la tavola apparecchiata con le posate rivolte verso il basso, come si usava un tempo per mostrarne timbri e marchiature; o anche, ma la cuoca non ricorda bene la storia perché pare che un re si sia infilzato con una forchetta durante battendo la mano sul tavolo durante una discussione un po' accesa, il che spiega perché l'apparecchiatura delle forchette in Francia sia differente. Nel centro del tavolo una raccolta un po' eterogenea di figurine, probabilmente come da reale usanza del tempo, volta a mostrare i tesori di famiglia agli ospiti.
Dopo un'ultima occhiata ai pezzi che le hanno maggiormente impressionate le nostre escono dalla mostra; è ancora troppo presto perché il centro si riempia di gente, ma non troppo per una piccola merenda. Dove? Ma al Caffè Fiorio, ovviamente, data di fondazione 1780.
Nella seconda saletta, dai tavolini ovali, le nostre si siedono - andare per mostre stanca, soprattutto la schiena - e ordinano una bavareisa - caffè con zabajone - una cioccolata al gianduja con panna e un assortimento di piccola pasticceria: occhi di bue, canestrelli, brut ma bon, baci di dama al cacao e paste bicolori al cioccolato.
"Oggi niente dieta e, comunque, lo facciamo per gli amici del blog", è la giustificazione delle due...
Che, sempre a scopo documentario, fotografano la bella sala dall'ingresso Liberty e dai comodi divanetti di velluto bordeaux e, ovviamente, la tazza, con il marchio del locale.
Mentre spazzolano la loro merenda come due madamine osservano gli altri avventori; quelle due signore così magre, ma come fanno a fare merenda da Fiorio? "Saranno giovani" dice la cuoca; affermazione smentita da una seconda occhiata alle nuove avventrici. "Sarà il metabolismo. Oppure bisogna vedere cosa ordinano" risponde Elisa. Mentre le nostre si scambiano la merenda, a spiegare l'arcano entra il cameriere con la loro ordinazione. Una spremuta e quello che sembra un latte macchiato."Ah ecco", dicono le nostre, riappacificate col loro metabolismo, finendo le ultime briciole della pasticceria.
Uscite dal locale il cielo è sempre terso, ma il clima si è fatto più rigido. Una sosta su una panchina in piazza Castello per la sigaretta post merenda di Elisa, ad osservare il passeggio, poi in via Palazzo di Città, per evitare la folla che si sta facendo sempre più fitta.
Una visita alla bella Basilica del Corpus Domini nell'omonima piazza e una foto all'ignoto personaggio che sorregge un favo di miele - che si rivela poi essere Sansone ...
e, per par condici, una anche alla casa con il piercing, dall'altro lato della piazza.
Più avanti, davanti al palazzo del Comune, in piazza Palazzo di Città il mercatino di cibi biologici, e un giovane turista in cappello a tuba e jeans.
Tagliando l'ormai affollata via Garibaldi le nostre proseguono per vie parallele, incontrando, in via Barbaroux, la Chiesa della Misericordia, l'unica in Torino dove si celebra ancora la messa in latino, per una volta miracolosamente aperta; una visita quindi s'impone, anche perché nessuna delle due era mai riuscita a entrarci. All'interno della chiesa, dalla pianta di impianto controriformista, musicisti stanno installando i loro strumenti, un'organo e un'arpa celtica, in attesa di un concerto.
In una bacheca, su un lato, oltre al crocifisso di san Giuseppe Cafasso, il cappio che serviva per le esecuzioni; questa è infatti la chiesa dove i condannati a morte venivano condotti per un'ultima messa prima di essere giustiziati. Sull'ingresso principale della chiesa un pesante tendaggio di velluto, con un bizzarro ricamo in rilievo della testa di Gesù decapitata su un vassoio; ma potrebbe anche essere san Giovanni Battista, a pensarci bene.
Di passo lesto, anche per il clima sempre più freddo ora le nostre si dirigono verso piazza XVIII dicembre, alla fermata della metropolitana. E' stato un bel pomeriggio, magari replichiamo tra tre settimana, c'è una bella mostra di porcellane a Palazzo Madama, con degustazione di tè...