Alla Mostra del Cinema di Venezia è stato il turno di Sabina Guzzanti, che ha presentato il suo attesissimo film sulla trattativa Stato-mafia, intitolato proprio La Trattativa. Oggialcinema l’ha intervistata al termine di una proiezione stampa che ha ricevuto moltissimi applausi.
Come nasce l’idea per questo film?
Stavo girando Draquila e ho intervistato Massimo Ciancimino. In quel momento mi ha rivelato delle cose che avevano poco a che vedere con il terremoto all’Aquila e più con la trattativa Stato-mafia, mi sono appassionata all’argomento e così ho pensato di realizzare questo film. Inoltre mi sembra che sia una storia fatta per il cinema, una spy story perfetta piena di colpi di scena e continui depistaggi. Poi per farmi una mia idea sull’argomento ho realizzato delle lunghe interviste ai magistrati e agli addetti ai lavori. Il mio è un film purtroppo inattaccabile da un punto di vista giuridico perché ogni fatto è stato verificato centinaia di volte. Questa però è la mia personalissima visione della faccenda. Un’altra regista l’avrebbe sicuramente affrontata in maniera diversa.
Perché proprio questo tema?
Perché io credo che la cultura dominante oggi sia la cultura mafiosa. L’abbiamo accettata passivamente come il semplice fatto di dire “Non sputare nel piatto in cui mangi”, anche quello è un concetto mafioso. Non è che nessuno si indigna delle raccomandazioni, abbozziamo come coloro che vivono sotto il giogo della mafia.
Perché a fare questa ricostruzione è un gruppo di lavoratori dello spettacolo e non un gruppo di politici?
Perché questi episodi non sono diventati un’occasione di riflessione politica e non è mai stata aperta una commissione d’inchiesta. E’ una domanda che ci siamo posti in tanti e la risposta è semplice: questa classe dirigente è il frutto di quella trattativa. L’Italia sarebbe stato un Paese diverso senza la trattativa e forse Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sarebbero stati ancora con noi.
Come mai avete scelto quel tipo di messa in scena teatrale, tutta in un ambiente?
Il film è frutto di un lavoro di grande ricerca, ho provato diverse sceneggiature e poi mi sono ispirata ad Elio Petri. L’impostazione teatrale poi mi ha consentito una maggiore libertà creativa.
Non pensi che il tuo pubblico oggi si indigni un po’ meno rispetto a qualche anno fa?
Non lo so. Questo è un ragionamento basato sulle logiche del marketing. Io penso che il marketing sia un’ideologia pericolosissima e che sia il nemico numero uno della nostra felicità. Non penso che nessuno possa dire cosa vuole il pubblico, sono discorsi tendenziosi e manipolatori. Può darsi però che il pubblico sia più stanco ma il mio non è un film fatto per suscitare indignazione ma raggelamento, coraggio e fiducia nel ragionamento, nella logica che aiuta a superare l’impotenza. Non importa se non si trovano i colpevoli, non significa non poter ragionare sugli eventi che sono convinta abbiano alterato il corso della storia del nostro paese.
Ti ha colpito che non ci sono donne in questa storia?
Sì, perché non mi sono trovata una parte (ride, n.d.r.).
di Rosa Maiuccaro per Oggialcinema.net