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Sacro e profano, azzurro e oro

Creato il 03 luglio 2012 da Unarosaverde

Sacro e profano, azzurro e oro
Sacro e profano, azzurro e oro

Di sabato, a metà giugno, sono stata a Padova, a visitare, dopo molti anni dall’ultima volta, la Cappella Scrovegni.

Quindici minuti in un ambiente così ricco di colori, immagini, simboli e suggestioni paiono quindici secondi. Non mi sono ancora ripresa dall’effluvio di sensazioni che mi sommergono all’entrata che già si deve uscire. Il microclima è protetto, le lancette corrono veloci e mi strappano da un luogo in cui il tempo pare essersi invece fermato.

Quello che era stato creato per essere sotto gli occhi di tutti ora è protetto, prezioso, calmierato. L’intelletto lo comprende, il cuore si ribella mentre lo sguardo cattura quanti più frammenti d’immagine possibile, imbevendosi di essi.

In ogni centimetro delle pareti c’è una figura da osservare, particolari da notare, giochi tecnici da apprezzare, sfumature di colore che creano materia. Poi alzo il naso, verso il soffitto, dove brillano centinaia di stelle dorate in campo di azzurrite e mi vengono in mente frammenti di una poesia che lessi anni fa, scritta sullo sfondo di un’altra città veneta. Mi stupisco una volta di più di quanto il sacro, nell’intreccio dei miei pensieri, sembri sempre richiamare il profano. Che forse profano non è.

Poi, quando mi hanno buttata fuori, dato che ero dell’umore giusto per continuare a mescolare due concetti opposti, ho passeggiato con calma fino in Piazza delle Erbe dove c’è un luogo in cui, in cambio di pochi euro, un mestolo si tuffa in un grosso recipiente di rame e ne risale ricolmo di crema di nocciole e cioccolato fondente da trasferire in un vasetto di vetro che nel mio zainetto trova subito dimora. In questo caso niente versi di poesia in accompagnamento ad una visione che ha del sublime ma, il sabato successivo, un Sauternes, a perfetta conclusione di una  cena tra amici in cucina. In questo caso due cose profane hanno creato una combinazione che, se sacra non era, ci andava comunque molto vicino.

“…in quell’azzurro tutto pieno d’oro…
io tramontavo… e tutto trascolora…
aspetta ancora azzurro, ancora imploro…

tramontavo nel sangue dell’aurora…
nell’azzurro e nell’oro… ad implorare…
tu non mi amavi, non mi amavi ancora…

tu tenevi in custodia la tua vita…
Tesoro, aspetta… sì, fammi tremare
e palpitare sotto le tue dita…

Rimetteremo in moto cento cieli…
d’oro e d’azzurro…oh, d’azzurro e d’oro…
se staremo distesi e paralleli…

sì, mettimi una mano tra i capelli…
sto migliorando… vedi che miglioro…
cuore ferito da mille coltelli

che mi sanguina ancora… azzurro e oro…
che sanguina… tesoro, oh mio tesoro…”

Patrizia Valduga – Prima antologia


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