Edgar Allan Poe è stato, come lo sono stati Isaac Asimov e Stephen King, uno dei miei primi amori letterari: quella che oggi si direbbe narrativa di genere, in Poe, è freudiana prima e oltre Freud, e tanto psicologica, quanto materica, perciò di tale attualità.
Credo che Poe avesse la capacità di scandagliare non tanto la paura in sé, quanto la paura di avere paura, più antico, anzi ancestrale, timore dell’essere umano. E proprio all’insegna dell’ignoto che pervade non solo l’opera, ma anche la vita, di Edgar Allan Poe, si muove un’agile biografia che Julio Cortázar, scrittore argentino del novero dei cosiddetti “rioplatensi”, ha dedicato all’autore di opere come Berenice o Il crollo della casa Usher.
Le partizioni sono delle più classiche: Infanzia, Adolescenza, Giovinezza, Maturità, Finale. Dalla nascita, a Boston, nel gennaio del 1809, al ritrovarsi orfano prima di aver compiuto i tre anni, da John Allan, suo “protettore”, fino al trasferimento in Scozia e dopo in Inghilterra, per poi rientrare negli Stati Uniti. Accompagnati da Cortázar, osserviamo Poe vivace adolescente, poeta alle prime armi, poi studente brillante. Più avanti, a carriera avviata e con un nome nei circoli di Boston, lo troviamo, nella seconda metà degli anni Trenta dell’800, già provato dalla miseria e caduto nel vortice dell'alcol. Vita grama, ma non priva di felicità, come per esempio nell’affetto per la cugina Virginia, che sarà sua moglie nel ‘36, salvo morire nel ‘46, consumata dalla tubercolosi; anche, vita conclusa in miserie e solitudine, in preda al delirium tremens.
Cortázar scruta con curiosità e pietas il “suo” Poe; e questi, a sua volta, attraverso le opere ci parla ancora da un misterioso regno delle ombre, come il protagonista del racconto La verità sul caso di Mr. Valdemar.
Da recuperare.
Media: Scegli un punteggio12345 Il tuo voto: Nessuno Media: 4.5 (2 voti)