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Saggio di regime post-rappresentativo

Creato il 04 marzo 2013 da Angelonizza @NizzaAngelo
Fonte: giornalettismo.com

Fonte: giornalettismo.com

Volendo fornire una lettura disinteressata dell’esito del voto politico di una settimana fa e, dunque, dell’affermazione dei Cinque Stelle, allora è opportuno sposare l’approccio dei filosofi della storia. Cioè abbandonare il terreno degli analisti politici di professione e abbracciare categorie di pensiero più larghe. Nel mirino c’è un paradigma della vita associata, quello che fa capo alla democrazia rappresentativa. Questo sistema, nell’epoca del regime economico post-fordista, è messo alle corde e il pregio del M5S è di segnalarlo. Non importa quanto Grillo e Casaleggio e i loro follower siano consapevoli di ciò. Non è una questione di psicologia, semmai è sociologica. Mi pare che la questione stia nei termini in cui nel 1994 la descriveva Christian Marazzi nel libro Il posto dei calzini: «La prima conseguenza di questo cortocircuito [delle istituzioni classiche della democrazia rappresentativa] è la proliferazione di movimenti e partiti che si auto-legittimano a rappresentare la collettività sulla base di interessi e temi circoscritti». La democrazia rappresentativa cede sotto le trasformazioni che ricalibrano i modelli di produzione. La messa al lavoro dell’intelligenza generale, dell’informazione, della comunicazione, delle generiche risorse cognitive e linguistiche provoca l’inedita sovrapposizione del piano della produttività, ritenuta perlopiù afasica e strumentale, con il piano della prassi intersoggettiva, fin da subito loquace e socievole, dimora delle doti politiche, dell’uomo pubblico, del rappresentante. Da qui, gli scricchiolii del regime democratico ereditato dal fordismo che, evidentemente, non è più capace di contenere il reengignering post-fordista.

Christian Marazzi

Christian Marazzi

Leggiamo ancora Marazzi: «Il passaggio tipicamente partitico della rappresentanza degli interessi di categoria, di classe o di ceto, di gruppo sociale o etnico, sul piano della mediazione istituzionale, si presenta ab orgine sempre più difficile». E, infine: «Ognuno a tendenza a rappresentarsi da sé; l’apprendimento delle tecniche comunicative all’interno del processo lavorativo-produttivo sembra bastare per salvaguardare i propri interessi». Insomma, per dirla più grossolanamente: il panorama è quello in cui un prodotto storico, cioè la democrazia rappresentativa, sta mostrando segni di fine e abbiamo l’occasione, quasi fossimo un’avanguardia artistica, di rimodularla, di rinnovarla, tanto da renderla più corrispondente alle esigenze della realtà quotidiana dei lavoratori e degli studenti, della ricerca e delle imprese, dei pensionati e degli ammalati, dei gay e degli etero, delle coppie di fatto, dei disoccupati… della moltitudine contemporanea.



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