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Sale d'attesa

Da Occhidadonna

sala d'attesaSpesso le persone si gustano l'attesa, come se fosse l'esaltatore di un imminente piacere. Nella mia testa si traduce in una meno nobile sala, d'attesa. Un posto della nostra coscienza in cui invece di fare qualcosa (atto che ci metterebbe in discussione, ci farebbe rischiare ma almeno i nostri neuroni non se ne starebbero a volteggiare nell'ozio probabilmente propizio); invece di assaporare un piacere che si può vedere, toccare, che ci può mancare o ferire, ma che almeno è... si aspetta incomprensibilmente che accada qualcosa. E ci si guarda in giro fantasticando, rigirandosi i pollici con aria struggente, braccia conserte a mò di chiusura, verso tutto il resto che accade intorno, sperando che si apra la porta di quell'azione e che una voce ci chiami. Prima di questa fantomatica chiamata, s'immagina, si pregusta un piatto che non si sa se qualcuno sta davvero cucinando. Meglio leggere un libro o prepararsi un panino, mi dico. Discorso che mi fa apparire come una persona dalla scarsa pazienza, a ragione. Il problema è che le attese hanno anche il brutto vizio di aumentare ingannevolmente il valore reale delle cose. Capita proprio come in quelle sale d'attesa. Stanze bianche, un tavolino ikea al centro. Pile di riviste che raccontano scoperte e fatti di almeno sei mesi prima. Intorno a te, altre persone, distratte e con lo sguardo rivolto verso una di quelle riviste obsolete. Sguardi scaduti. Quando per noia ti metti a fissare stampe di dubbio gusto, con lo stesso interesse che ci metteresti se ti trovassi al Louvre. Il che è uno spreco di diottrie.

 


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