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Salicelle e la gioventù negata

Creato il 11 luglio 2013 da Lundici @lundici_it
Salicelle e la gioventù negata

Incesto: "Meglio mio padre, almeno so chi è". È quasi sempre questa la frase pronunciata da alcune giovanissime del rione Salicelle di Afragola, comune a nord di Napoli.
"Non violentate i bambini, l'incesto è peccato" è il grido di dolore di Don Ciro Nazzaro, che dall'altare lancia le sue implorazioni affinché non venga più commesso questo atroce reato (ndt).
Don Ciro si rivolge ad una popolazione di circa novemila persone, la cui storia si potrebbe far risalire al 1980 quando, in seguito al sisma che colpì duramente la Campania, furono allestiti, nelle periferie delle città, campi che dapprima accolsero centinaia di tende, poi container e infine palazzi e palazzoni (sullo stile degli inglesi block building). In ogni caso, alloggi i cui abitanti - anche coloro che vi sono nati - non hanno mai considerato case.

Anche oggi, dopo oltre trent'anni da quell'infausto giorno, quella popolazione, seppur giovane (la media si aggira intorno ai 28 anni d'età) porta il segno dell'allontanamento dal luogo natìo e della consequenziale percezione del nuovo luogo come di un nonluogo, esattamente come è stato descritto dall'antropologo ed etnologo francese Marc Augé, il quale contempla nel suo neologismo - non-lieu - tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici quali, ad esempio, le autostrade, gli aeroporti (e i mezzi di trasporto), i grandi centri commerciali, i campi profughi ecc.
A rimarcare questa alienante condizione, oltre allo spazio interviene il tempo: i nonluoghi sono incentrati solamente sul presente. Ma se il presente dura oltre trent'anni, si può ancora parlare di vita - sebbene sospesa - oppure, proprio mutuando dal lemma appena descritto, si deve parlare di una non vita, in cui tutto è "non", persino i reati, che diventerebbero "non reati"?
Questi concetti, benché avvincenti, sembrano anch'essi lontani da questi non luoghi, sembrano anch'essi aver paura di entrare, di rimanere imprigionati, e allora si tengono a debita distanza, come tutti coloro i quali avrebbero dovuto occuparsene.
La storia recente ci svela alcuni retroscena, trasversali a grandi fette del tessuto socio-politico soprattutto meridionale. L'ex sindaco di Afragola, nonché senatore Pdl Vincenzo Nespoli, è finito agli arresti domiciliari lo scorso marzo, nello stesso momento in cui anche altri politici di primo piano - Sergio De Gregorio, Nicola Cosentino e Alberto Tedesco - ricevevano misure restrittive in concomitanza alla decadenza dell'immunità parlamentare.
È ovvio che il primo dilemma ruoti intorno al primo cittadino, ma anch'egli è, in fondo, bisognoso d'aiuto. Quel sindaco, al pari di un suo illustre concittadino - il noto attore Toni Servillo -, ha nei sedimenti dell'anima i percorsi sociali della sua gente, i travagli della sua terra; ma mentre l'artista li ha trasposti in arte, l'ex sindaco Nespoli li ha trasposti in una logica capovolta, trovandosene imprigionato, dapprima in modo figurato, poi anche nella realtà.
La logica e l'arte, ecco il bivio che si profila, fino a stagliarsi netto sulle vite di tutti.
Nel campo della logica potrebbe imbattersi un nuovo sindaco, eventualmente onesto quanto la compagine da lui guidata, ma insieme non riuscirebbero a ribaltare le sorti di questa gente, di questa terra; non per incapacità ma semplicemente perché ora - nel 2013 - ci vuole un miracolo, ovviamente non di quelli canonici, altrimenti l'avrebbe invocato Don Ciro.

Salicelle e la gioventù negata

E quale taumaturgo può sanare le ferite profonde di una terra se non colui che la conosce fin negli anfratti e negli abissi più remoti dell'anima? Toni Servillo (come ogni artista) ritorna al mondo, lo arricchisce ma, paradossalmente, proprio il luogo che lo ha tenuto a battesimo, anche teatrale, sembra andare da un'altra parte... ovunque ma non verso quella giusta.
Sopra ho scritto bivio, riferendomi alla biforcazione logica-arte, ma so bene che non è così. Le strade, infinite, sono disposte a raggiera e ben dissimulate, per cui anche la più sveglia delle persone ha molte probabilità di confondersi, di addentrarsi in un sentiero che si rivelerà impervio (sbagliato) solo a metà percorso, quindi alla fine. Infatti, pur volendo tornare indietro, il malcapitato impiegherebbe esattamente lo stesso tempo... il tempo di una vita.
Da queste parti le strade sono solchi profondi, non ti permettono di saltare - di passare ad una strada alternativa - e solo raramente qualcuno riesce ad arrampicarsi, lungo le pareti a strapiombo, fino alla cima; ma se non trova una mano forte, pronta a tirarlo fuori, non può far altro che dare un'occhiata e tornare indietro, o precipitare sfracellandosi al suolo oppure, se il manto è molle, ancora più in basso.
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In questa landa di Afragola c'è gente che non è ancora arrivata a metà percorso, è la gente del rione Salicelle, dove molte donne combattono una doppia battaglia, "dentro e fuori"; come hanno dimostrato recentemente, al ballottaggio per le ultime elezioni comunali, recandosi alle urne nonostante le scritte minacciose apparse sui muri: "Incendiamo tutte le vostre auto, non si vota", "Pericolo di incendio per chi vota" ecc.
Donne pronte a scendere in strada per lottare, come nel 2011, quando dai microfoni televisivi argomentarono strenuamente la loro opposizione contro il piano di sgomberi; una protesta di intensità e proporzioni tali da farla accostare alle analoghe avvenute a Londra, nello stesso anno, e in Francia sei anni prima: le Salicelle come le banlieu parigine.

Forse chiedere a Toni Servillo di scrivere un intero libro - come "Jep Gambardella" - è troppo, ma almeno una pagina è il minimo, magari ripartendo da quel teatro dei vent'anni, eventualmente insieme ai circa trenta ragazzi che aiutano Don Ciro.
Mi ricorre alla mente un pensiero espresso da una giovanissima del rione, Lidia, la quale, insieme ad altri suoi coetanei o quasi (tutti tra gli undici e i quattordici anni), contribuì nel 2007 alla realizzazione di un volume - tratto dall'omonimo reportage ideato dal giornalista Giuseppe Pesce - dal titolo Le Salicelle salvate dai ragazzini, in omaggio all'opera Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante.

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Le parole di Lidia: "Io sono una ragazza straniera, cioè serba. Il mio paese è la ex Jugoslavia, ma io sono nata ad Afragola, dove la mia famiglia vive da più di trent'anni, perché è scappata dalla guerra civile e dalla fame.
Fin dall'età di tre anni io ho cominciato a girare il mondo con mia nonna e mio nonno, che per me sono come dei genitori. Sono andata in Austria da mia zia, poi in Jugoslavia. All'età di dieci anni ho finito di viaggiare con i miei nonni, perché mia madre ha deciso di mandarmi a scuola in Italia, come i miei fratelli. Poi mio nonno si è ammalato con una brutta malattia e io mi sentivo come una morta, come se fosse morta una parte di me.
Ho viaggiato per l'Europa, ma non mi sono trovata bene. Perché alla fine ho capito che non voglio vivere in un posto migliore, ma vorrei che il posto in cui vivo (le Salicelle, dove stanno i miei genitori e i miei amici) sia migliore."
Dal 2007 ad oggi, cosa ha fatto la gente perbene per Lidia e per gli altri ragazzini che durante quella primavera raccontarono e fotografarono la loro terra dimenticata?
Ai ragazzini, cui "nessuno ha mai raccontato una favola per metterli a letto", bisogna dare ascolto, seguendo l'esempio di Giovanna Mugione, preside della scuola Europa Unita del rione Salicelle, o della collega Eugenia Carfora, presso la scuola media Raffaele Viviani a Caivano (altro popoloso e derelitto comune a nord di Napoli), le quali, oltre a combattere l'altissima dispersione scolastica, si occupano, insieme al volenteroso personale, di ridare decoro - anche materialmente - a quelle scuole da cui i professori scappano, anziché mettere in pratica gli insegnamenti della Costituzione e rivestire il ruolo di educatori.
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Se non ci si occupa di questi giovani, la cui vita è simile a tanti loro coetanei non solo in Campania, si rischia di avere un'opinione generica e superficiale, lontana dalla realtà, proprio come quella espressa dal giornalista Alessandro Sallusti, durante la puntata di "Servizio pubblico" del 2 maggio scorso. Sallusti, commentando l'uccisione dell'appuntato Della Ratta avvenuta nel corso di una rapina a Maddaloni, in Campania, disse: "Uno dei ragazzi che ha ucciso, aveva diciannove anni appena compiuti. Ora, a casa mia uno di diciannove anni sta finendo le scuole [...]". Intervenne Michele Santoro per spiegargli che la vita non è uguale per tutti: "Sallusti, nel mondo dei nostri figli (avviene ciò che hai appena detto), ma il mondo è un altro, è molto più vasto di quello nel quale viviamo noi".
L'ignaro Sallusti avrebbe potuto saperlo in altri modi, vivendo o leggendo, ad esempio l'istruttiva tesi "Il fenomeno della dispersione scolastica: il caso Afragola" di Felicia Castaldo, la quale mette in evidenza proprio questa erronea concezione: "L'adolescenza è divenuta oggetto d'indagine scientifica solo in epoca recente. I motivi di tale ritardo si possono ricondurre sostanzialmente ad un preconcetto e ad una modifica nel nostro stile di vita. Il preconcetto che prima vigeva riguarda l'idea che per conoscere tutti gli aspetti del periodo adolescenziale bastasse averne fatta esperienza personale e osservare gli adolescenti con cui si avevano contatti. Il cambiamento nello stile di vita riguarda la vera e propria nascita di un nuovo periodo nell'esistenza dell'uomo, nascita che è avvenuta soprattutto in seguito allo sviluppo industriale [...]".
C'è un altro aspetto, prioritario, che riguarda i giovani: il lavoro. Molti nostri giovani connazionali si trovano, come tanti altri in passato, al bivio "restare in Italia o espatriare". Nel rione Salicelle, come nell'intero Sud, moltissimi ragazzi non possono neanche arrivare a quel bivio. E allora, se così va bene per chi potrebbe dedicare un po' del suo tempo a chi non ne ha mai avuto, dorma tranquillo, continui pure a fare la sua strada, stando attento però a non intersecare quella del giovane che gli potrebbe ricordare di essersi dimenticato di lui. Perché è di questo che si tratta, di dimenticanza, dietro la quale si cela l'abbandono.
Per molti è comodo tenersi alla larga da certi posti, ritenuti pericolosi. Riguardo a questo punto, non ci sono dubbi: sono pericolosi, anzi, molti di essi sono territori in mano alla camorra che, come tutti sanno o dovrebbero sapere, gestisce i suoi traffici - droga, armi, prostituzione ecc. -, mette in atto il male, quello vero. E quindi, sulla scorta di quel concetto di comodità, molti fra coloro che sono nati altrove, vengono educati a pensare ad altro, anziché agli altri.
Tranne rarissime eccezioni, le istituzioni, i media e il mercato, sia lecito che illecito, alimentano quel comportamento egoistico, "educare a pensare ad altro, anziché agli altri".

Quanti fatti, quanti pensieri, ma su tutti svetta quello di Lidia: "[...] alla fine ho capito che non voglio vivere in un posto migliore, ma vorrei che il posto in cui vivo (le Salicelle, dove stanno i miei genitori e i miei amici) sia migliore". La sua voglia di cambiamento potrebbe stravolgere l'ordine costituito, la strutturazione della società, fino ad indurre l'antropologo Marc Augé a rivedere il suo concetto di "non luogo". Anche se Lidia dovesse restare l'unica alle Salicelle ad avere questo proposito - di rendere migliore il suo posto, assurto al grado di luogo già nella sua mente da fanciulla -, avrebbe il grande merito di mantenere vivo quell'elegiaco pensiero che un giorno potrebbe essere tramutato in atto, donando l'esempio a tutti i non luoghi del mondo, che per la prima volta conquisterebbero la meritata identità.

Salicelle e la gioventù negata

Il nome "Salicelle" mi evoca il salice - appartenente alla specie "Salix tristis" -, in particolare uno che era piantato nel giardino di una casa poco distante dalla mia. Quell'albero fece ingresso nella mia vita all'età di dieci anni, portato dai nuovi vicini. Incuriosito dagli enormi rami che, a differenza degli altri alberi, si orientavano verso il suolo, mi avvicinai all'abitazione per osservare meglio, ma l'udito anticipò la vista: ad ogni passo in avanti, il fruscio del fitto fogliame sembrava pervenirmi in guisa di lamento, preannunciandomi il nome di quel bellissimo albero: salice piangente.
All'epoca vedevo, e sentivo, piangere gli alberi e mi commuovevo. Oggi sento piangere la gente, e vorrei avvicinarmi, ma non riesco a capire da dove provenga il pianto.

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