Magazine Cucina
Ma più che di una lezione di guida, qui parliamo di una lezione di meccanica.
Abbiamo più o meno tutti frequentato la Scuola Guida a suo tempo, con maggiore o minore profitto; non so voi, ma io temevo più di tutto la spiegazione del funzionamento del motore, persuasa com'ero che non ci avrei capito assolutamente nulla. In questa convinzione avevo sicuramente sottovalutato le capacità didattiche degli istruttori e dei redattori dei manuali, perché quando ho affrontato il temuto capitolo mi sono resa conto con estremo sollievo che non era per nulla difficile: le spiegazioni erano semplici e alla mia portata e i diagrammi erano chiarissimi, con quei bei canali in rosso e in azzurro che indicavano le parti che stavamo studiando, così mi sono ben presto convinta che in realtà lo studio del motore era molto sopravvalutato.
Certo, un pizzico di perplessità mi è tornato quando ho visto per la prima volta un motore vero: lì non c'erano diagrammi e parti evidenziate in colori contrastanti, ma tutto era nero, sporco, unto e fuligginoso. Per mia fortuna non ho mai avuto bisogno di capirci un granché e l'unica arte che dovevo padroneggiare - e che ho padroneggiato splendidamente - era quella di attaccare i cavetti per far partire un motore dalla batteria scarica per colpa dei fari dimenticati accesi al parcheggio del supermercato o della metropolitana.
Anzi, con gli anni ho acquisito una tale dimestichezza con questa semplice operazione, da essermi comperata un caricabatteria per mettere in carica quella della mia auto quando la vedevo "giù di corda". Il Catorcino era abituatissimo a questo trattamento e me ne è sempre stato grato.
Poi è arrivata lei. L'Altra. La mia nuova macchina usata. Ha mandato in pensione il Catorcino senza troppe cerimonie, mi ha fatto fare una serie di figuracce su cui per la mia dignità personale preferisco non soffermarmi e ha in serbo per me tante di quelle sorprese (nessuna delle quali, lo sento, piacevole) da aver acuito la mia avversione per i triangoli di qualunque tipo e specie.
Un luminoso sabato di febbraio sono andata a fare la spesa; parcheggio l'auto e spengo le luci, ma quando apro lo sportello per scendere scatta il suono lamentoso che mi avverte che le luci sono accese. Perplessa le riaccendo e le rispengo, lui continua a suonare. Faccio spallucce, mi dico che ci penserò dopo ed entro al supermercato. Torno, e il suono si fa nuovamente sentire. Arrivo a casa, metto il gioiellino in garage e il suono continua ad accompagnarmi. Faccio tutte le verifiche a cui riesco a pensare, poi mi stufo e salgo in casa senza pensarci più.
Ci ho ripensato il giorno dopo, quando avevo nuovamente bisogno dell'auto: una luce accesa significa una batteria che si consuma, e la carica della mia era ridotta al lumicino. Sospiro, apro il cofano e mi appresto a mettere la batteria in carica, quando sono colta da una grave perplessità: dov'è la batteria? Al suo posto c'è un'inquietante scatola nera saldamente fissata con delle viti: che fare? Il libretto delle istruzioni viene in mio soccorso confermandomi che la batteria si trova proprio lì e avvertendomi che prima di aprire la scatola nera mi devo premunire di occhiali protettivi, contro eventuali schizzi di acidi. Le batterie moderne, aggiungono, devono essere maneggiate solo da meccanici specializzati e non da mani inesperte, pena disgrazie innominabili. Ci vuol poco a terrorizzarmi, così chiudo il cofano, trascorro una domenica a piedi (sgrunt) e mi riprometto di andare dal meccanico, farlo venire per avviare il motore e poi portargli la macchina per mettere la batteria in carica. Sgrunt. Nel frattempo il libretto delle istruzioni mi delucida anche sulla luce rimasta accesa: era l'antinebbia posteriore, accidentalmente attivato da una rotellina che ho spostato per sbaglio.
Il giorno dopo uscendo dal lavoro ho incontrato un collega che abita abbastanza vicino a casa mia e che mi ha offerto un passaggio; ho accettato volentieri e arrivata a destinazione ho pensato ad alta voce: "sono arrivata mezz'ora prima, così posso andare dal meccanico per la batteria". Lui si è offerto di darci un'occhiata lui stesso e di applicare i cavetti, io gli ho risposto che la scatola della batteria non poteva essere aperta senza un cacciavite, lui ha insistito e siamo scesi in garage. Non avevo fatto in tempo ad aprire il cofano che lui, con mano esperta, ha aperto la scatola nera: un'umiliazione da non dirsi. Mi ha poi spiegato che si trattava di tirare una levetta che, a guardar meglio, era anche piuttosto in evidenza e io mi sono consolata pensando che la figuraccia con lui me ne ha risparmiata una peggiore col meccanico (ma ve l'immaginate la sua faccia?), insieme a un sacco di soldi.
A conclusione di tutto ciò posso solo dire che almeno per quanto mi riguarda ha ragione la saggezza popolare, quando dice "donne e motori, gioie e dolori". I dolori li sto sperimentando tutti; a quando le gioie? :-D
SALMONE GRAVLAX(Da: Cordon Bleu – Scuola di cucina – Dix)
1 coda di salmone freschissimo, circa 3 kg150 g sale marino grosso150 g zucchero semolato3 cucchiai punte di aneto tritate12 g pepe bianco 12 g pepe rosa
Far squamare il salmone dal vostro pescivendolo di fiducia e farlo sfilettare.Eliminare le lische rimaste nella polpa aiutandosi con l’apposita pinzetta.Sciacquare con cura il pesce e asciugarlo tamponandolo con carta da cucina.
Pestare le bacche di pepe; unire in una ciotola il sale, lo zucchero e gli aromi, amalgamandoli bene.
Foderare una teglia di capienza adeguata con una mussola, distribuirvi qualche cucchiaiata della mistura di sale, zucchero ed erbe aromatiche, poi adagiarvi il primo filetto di salmone, con la pelle verso il basso. Versare sulla polpa metà del composto di sale e zucchero, massaggiare bene per distribuirlo uniformemente e farlo penetrare nelle carni. Distribuire il restante composto sul secondo filetto, massaggiando e distribuendolo uniformemente come sul primo.Adagiare il secondo filetto sul primo, polpa contro polpa “in testacoda”, facendo combaciare la parte più sottile della coda con quella più spessa della polpa. Avvolgere strettamente il pesce nella mussola, poi coprirlo con un tagliere o una teglia pesante (eventualmente metterci dei pesi sopra) e passare in frigo per almeno 48 ore.Ogni 12 ore voltare il pesce ed eliminare il liquido che si sarà formato. Dopo 2 giorni non dovrebbe più emettere liquido (altrimenti proseguire la marinatura per altre 12 ore).
Trascorso questo tempo la maggior parte del composto sale-zucchero si sarà sciolto. Sciacquare accuratamente i filetti di salmone sotto l’acqua fredda corrente per eliminare l’eccesso di sale e zucchero, tamponarli con carta da cucina.
Affettare il salmone sottilmente in diagonale e servirlo, accompagnato dalla sua tipica salsa gravlax o con spicchi di agrumi.
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