Pubblicato da lapoesiaelospirito su maggio 23, 2012
di Guido Michelone
Il Salone Internazionale del Libro ha celebrato il venticinquennale della manifestazione: dal 1988 al 1998 si è chiamato Salone del Libro, poi è diventata Fiera per motivi di proprietà, quindi dal 1999 al 2001 Fiera del Libro, dal 2002 al 2009 Fiera Internazionale del Libro e dal 2010 è tornata nuovamente alla ‘classica’ denominazione di Salone Internazionale del Libro.
La mia presenza al Salone risale proprio alle origini quando ancora si teneva a Palazzo Vela (costruito per Italia 61): da allora a oggi ho sempre partecipato – magari solo un pomeriggio, raramente per più di tre giorni – a tutte le edizioni di questa bellissima kermesse che si tiene ogni anno (ora al Lingotto, finalmente raggiungibile in metropolitana) da giovedì a lunedì verso la metà di maggio. Ho partecipato dapprima nella veste di comune visitatore-lettore, pagando il biglietto d’ingresso: e poi, via via come giornalista, scrittore, insegnante; in quest’ultimo caso, mi limitavo, come gli altri colleghi, ad accompagnare i ragazzi delle superiori all’entrata e a lasciarli girare liberi per l’intera giornata: difficile pensare ad altre soluzioni, tipo visite guidate, benché qualche alunno mi abbia seguito nella ricerca di prelibatezze librarie tra i vari stand, chiedendo aiuti, consigli, informazioni sui testi esposti.
Più frequenti le mie visite al Salone in qualità di ospite, ossia di ‘esperto’ in alcuni dibattiti e tavole rotonde soprattutto sulla musica (e qualcosa anche di cinema), oppure in qualità di ‘scrittore’ che presenta il proprio libro: queste tipologie di incontri hanno, al Lingotto, il ‘tutto esaurito’ quando l’autore è famoso, non tanto come romanziere, poeta, drammaturgo, saggista, bensì quale personaggio pubblico soprattutto di notorietà mediatica (televisiva in particolare). Viceversa per ottenere grandi (o piccole) folle a un incontro al Salone bisogna salire sul palco di Radio Rai dove si fanno le dirette: e lì la gente si ferma ad ascoltare indipendentemente dalla fama della persona, perché ‘siamo’ in RAI. Per avere pubblico si può inoltre puntare su un argomento molto alla moda o meglio ancora su altri quattro ingredienti variamente mescolati: la musica dal vivo, l’offerta di cibo, la gratuità di qualche oggetto (che non siano depliant, brochure, manifesti, penne, segnalibri o pseudolibri) e la disponibilità di comode sedie o addirittura poltroncine.
Mi è infatti accaduto che alle mie presentazioni ci fosse un buon chitarrista o una giovane cantautrice e la gente si fermava; che ci fosse uno spuntino con vino e tarallucci e la gente gradiva; che ci fossero libri-omaggio, gadget, pupazzetti e la gente prendeva a man bassa; che ci fossero scranni, divani o puff (al Salone in effetti non si sa dove sedersi, a parte qualche rara panchina) e la gente si spaparanzava (pensando ai fatti propri e non al libro discusso e presentato). Però basta una sola domandina tra il pubblico o una richiesta di dedica o autografo a rendermi felice, anche quando la platea, senza jazz, regali o salatini, è semideserta.
La mia presenza al Salone negli ultimi anni si connota anche e soprattutto come ‘stampa’ – inviato via via da testate diverse che non sto a citare – con quel cartellino sul bavero della giacca che dà diritto all’ingresso gratis, a frequentare la sala-stampa, dove una volta erano a libera disposizione telefono, fax e computer e dove una volta c’era un bar che serviva tramezzini e bevande calde o fredde senza sborsare un quattrino. Ora è rimasta una macchinetta del caffè a cialde e un frigo con acqua minerale, rispettivamente scassata e svuotata già da sabato sera; in compenso esiste il collegamento a Internet.
Poi, molto sinceramente, a me il Salone pare sempre tutto uguale per come è strutturato, con l’unica nuova eccezione della presenza di ‘editori elettronici’, anche se in una ‘fiera’ la ‘faccenda’e la ‘vicenda’ degli e-book non mi sembra tanto gestibile: è un problema serio, grosso, vitale quello del libro elettronico, su cui magari si potrà aprire un dibattito: per ora qui non entro nel merito. A me, personalmente, piace sfogliare le pagine, annusare la carta, toccare le copertine, aggirarmi fra gli stand dei piccoli editori, che hanno purtroppo stand molto piccoli: ormai non entro più negli enormi padiglioni dei quattro-cinque grandi gruppi editoriali, perché mi sembra di stare in una libreria in franchising. Questo per dire che il Salone dovrebbe privilegiare maggiormente la cultura e la qualità, ma come sempre è la solita questione di business (e mi fermo qui).
Ma proprio per un discorso di qualità vorrei recensire otto libri per altrettanti editori che sono stati particolarmente gentili nei confronti dei rappresentanti della stampa. Dico questo perché al Salone incappo (come molti colleghi) in situazioni a dir poco spiacevoli, paradossali o antipatiche: quando ho bisogno di un libro per lavoro (per recensirlo) mi presento allo stand esibendo il cartellino e chiedendo il libro in questione: e a questo punto le reazioni sono di due tipi, nette, opposte, antipodiche: c’è l’editore che gentilmente mi offre subito il libro, contento delle mie proposte di lettura e recensione; c’è l’editore che si rifiuta, in maniere spesso poco gentili; in questi ultimi casi non basta nemmeno esibire la Tessera di Giornalista, una carta da visita, il foglio intestato e scritto in precedenza o la fotocopia di una corripsondenza e-mail dove si discute della richiesta del volume: i motivi del rifiuto permangono vaghi o nebulosi; cosa passi per la testa del responsabile ufficio-stampa o addirittura dell’editore tuttofare in persona resta un mistero.
Detto questo passo subito alla note positive, segnalando questi otto bei libri, di cui ben cinque sono di musica, perché questa è la materia che insegno in università e in conservatorio; gli altri tra appartengono invece ai filoni saggistica, instant book e graphic novel:
Black Music di Amiri Baraka,
Storie di rock di Innocenzo Alfano,
Analfabeatles di Massimo Carboni,
Backwards di Luca De Gennaro,
Whitney Houston di Episch Porzioni & Prince Greedy,
Modernità all’italiana di Gian Paolo Caprettini,
Il dittatore utopista di Gianluca Barbera,
Superzelda di Tiziana Lo Porto, Daniele Marotta.
Amiri Baraka, Black Music. I maestri del jazz (a cura di Marcello Lorrai), Shake, Milano 2012.
Si tratta di un’antologia quasi completa di tutti gli scritti sulla jazz music che il grande poeta, saggista e sociologo afroamericano (al secolo LeRoi Jones) ha scritto lungo mezzo secolo di impegno civile, lottando contro l’odio razziale e dimostrando, proprio attraverso la valorizzazione di queste sonorità (soprattutto quelle avanguardiste come il free e la new thing), come i neri d’America siano riusciti a riscattarsi e a creare una grande arte. Lo stile di scrittura è talvolta liricizzante e funambolico e proprio per questo molto coinvolgente.
Innocenzo Alfano, Storie di rock. Gli anni Sessanta e Settanta attraverso dischi, festival, libri, luoghi, suoni e molte curiosità, Aracne, Roma 2012.
Lo studioso cosentino che da circa dieci anni scrive libri tanto sul pop quanto su problemi sociali, sta approntando una disanima delle musiche giovanili incentrate in alcuni periodi topici. Dopo i saggi sulla canzone, sulla psichedelia e sul progressive, ecco un testo che prende in considerazione svariati argomenti, discussi in quattro parti: le radici folk e blues nel sound angloamericano; il prog all’italiana; diverse amenità su rock star molto note; il cosiddetto San Francisco Sound. Il tutto è assai ben documentato.
Massimo Carboni, Analfabeatles. Filosofia di una passione elementare, Castelvecchi, Roma 2012.
Finalmente anche in Italia una rilettura molto seria del fenomeno Beatles; un docente universitario di estetica, nonché critico d’arte, autore di parecchi studi teorici, offre uno sguardo filosofico attorno al ‘più potente oggetto di fascinazione musicale di massa del Novecento’, in un modo che ha pure raggiunto un sostanziale (e sostanzioso) equilibrio tra arte e industria, popolare e sperimentalista.
Luca De Gennaro, Backwards. The ‘Rolling Stone’ files e altre storielle, Caratteri Mobili, Bari 2012.
Il critico torinese è tra i più noti esponenti del giornalismo rock: per l’edizione italiana del mensile ‘Rolling Stone’ cura fin dal primo numero (2003) la rubrica ‘Backwards’; e arrivato al cento (2011), ha quindi antologizzato i suoi interventi, che narrano di un’esperienza di ascolti discografici, di conoscenze dirette, di partecipazione a concerti ed eventi, di tutto quanto insomma al giorno d’oggi è composto il variegato multiforme universo di un sound non più soltanto giovanile, ma soprattutto intergenerazionale.
Episch Porzioni & Prince Greedy, Whitney Houston. La voce spezzata, Chinaski, Milano 2012.
Si tratta di una biografia più o meno scandalistica, giacché la coppia di giornalisti è specializzata in quella critica rock che guarda più ai fatti privati che non ai valori musicali (Non a caso il loro precedente volume era dedicato al fenomeno di Lady Gaga). Pur tra alti e bassi il libro alla fine risulta credibile perché arriva a comporre un quadro onesto e veritiero dell’esistenza della celebre cantante soul afroamericana, morta lo scorso anno, dopo una lotta drammatica contro droghe e farmaci, come spesso accade ai fragili divi dello show business.
Gian Paolo Caprettini, Modernità all’italiana. Origini e forme dello spettatore globale, Cartman, Torino 2012.
Gianluca Barbera, Il dittatore utopista. Storia e contro storia di Muammar Gheddafi, Barbera, Siena 2012.
È l’analisi spietata dell’uomo che per oltre un quarantennio ha comandato la Libia con il pugno di ferro, partendo da una rivoluzione che rovesciava un regno corrotto, ma finendo poi col chiudersi in se stesso, promettendo mari e monti alla popolazione, ma lasciando i figli indisturbati a ladroneggiare ovunque. Gheddafi è osservato ‘con la lente’ dalla nascita fino alla morte, elencando informazioni obiettive sulla vita pubblica e privata di un personaggio fortemente contraddittorio.
Tiziana Lo Porto, Daniele Marotta, Superzelda. La vita disegnata di Zelda Fitzgerald, Minimum Fax, Roma 2012.
La graphic novel italiana si arricchisce di questa nuova biografia a fumetti incentrata sulla storia di Zelda Sayre, ballerina e scrittrice, fidanzata e poi moglie del romanziere Francis Scott Fitzgerald: la coppia fece molto parlare di sé durante i ‘ruggenti anni Venti’, l’età del jazz, come egli stesso la definì in una celebre raccolta di saggi e articoli; ma quell’età, per i due, fatta di party e di sbronze, non sempre fu per loro felice o serena; anzi l’esistenza di Zelda rimase tormentata da una malattia mentale scoperta tardivamente, che il libro rappresenta con femminile sensibilità.