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Salvador Allende, il “nostro” 11 settembre

Creato il 11 settembre 2011 da Albertocapece

Salvador Allende, il “nostro” 11 settembreNon parlo delle torri e di un decennale che mentre non ha ancora risolto alcuni lati oscuri, che anzi recentemente si sono infittiti, è diventato un bazar dove molti soldi pubblici vengono sprecati in speculazioni private. Ed è forse questo il vero ground zero, la mercificazione della memoria.

No, parlo dell’ 11 settembre 1973, giorno del golpe di Pinochet in Cile e del suicidio o più probabilmente omicidio di  Salvador Allende, il primo tentativo in Sudamerica di liberarsi dalla colonizzazione statunitense, il primo governo di sinistra nel continente e in generale nell’Occidente del dopoguerra. Ne parlo per molte ragioni: perché fu uno choc meno spettacolare, ma molto più profondo di quello delle torri, perché ha avuto sull’Italia conseguenze enormi che ancora oggi agiscono sia pure in un contesto diverso, e last but not least perché si lega a ricordi personali.

Comincio da questi ultimi perché cominciai a lavorare sotto la “tutela” professionale di Giancarlo  Zanfrognini, l’unico giornalista italiano presente in Cile al momento del golpe. Al Resto del Carlino circolava una voce maligna secondo la quale il pezzo era stato dettato due ore prima dell’assalto dei militari alla Moneda, cosa che in un primo momento era sfuggita a causa del fuso orario. Ma in ogni caso di certo Zanfrognini si poteva considerare persona informata dei fatti. Così lo sfruculiavo continuamente su quei giorni dei quali del resto aveva parlato in due libri. E da quello che diceva era più che evidente il ruolo dei servizi segreti americani e non solo nel tragico epilogo dell’esperienza di sinistra in Cile. Una cosa che adesso è più che ovvia e provata, ma che allora veniva negata con sdegno dalla moderazione democristiana.

Ma per capirci qualcosa bisogna fare un passo indietro e riandare alla primavera del 1970, anzi al primo autunno in Cile, alle elezioni di Viña del Mar. Le sinistre unite nel cartello di Unidad popular avevano da tempo il 40% dell’elettorato, ma erano più attive, più consapevoli rispetto all’area moderata e di destra, tenevano la piazza per così dire. Il vecchio democristiano Frey non poteva più ripresentarsi alle elezioni presidenziali perché aveva già fatto due mandati consecutivi e questo costituì un primo problema. Il secondo fu dovuto al clima particolarmente invitante che spinse la borghesia di Santiago ad andare nella Rimini cilena, Viña del Mar  appunto. Quando i più giovani sentono gli inviti ad andare al mare è proprio da questo che deriva e Craxi che fu il primo fautore di questo disimpegno balneare lo sapeva benissimo.

Così Allende vinse per 40 mila voti, senza superare però il 51%, sul candidato della destra e su quello democristiano. Nixon tentò disperatamente, assieme alle destre cilene di fare una sorta di golpe costituzionale tentando di far eleggere il candidato arrivato secondo il quale poi si sarebbe dovuto dimettere per dare di nuovo la parola alle urne. ciò avrebbe permesso formalmente al vecchio Frey di ripresentarsi e probabilmente di vincere. Il piano non riuscì e tuttavia questa pressione così forte costrinse fin da subito Allende a dover scendere a patti con i centristi. I successivi tre anni si consumarono al’insegna di questa di questo primo choc:  il presidente dovette  moderare di molto il suo programma, andare con i piedi di piombo, scontentando così  la parte più a sinistra di Unidad popular spinta sempre di più verso posizioni rivoluzionarie, senza però accontentare i moderati, anzi spaventadoli ancora di più. Tra le concessioni di Allende ci fu anche la nomina di Pinochet, noto uomo di destra al comando dell’esercito, sperando di dare garanzie al centro. Invece il generale già covava il golpe.

Tuyto questo in Italia ebbe un impatto enorme: da una parte ampi settori dell’estrema sinistra ne dedussero che non era possibile collaborare con la borghesia e che dunque  la violenza era necessaria, rinsaldando e confermando una via alla soluzione armata. Dall’altra convinse il Pci che non si governa col 51% e ciò indusse Berlinguer ad abbozzare la strategia del compromesso storico, ipotizzata in tre articoli su Rinascita di cui il più rilevante è ” Dopo il golpe in Cile”.

Oggi le cose sono molto cambiate: il liberismo ha sommerso e sconfitto sia la classe operaia, sia la borghesia intesa come ceto, sgominandola con la forza di promesse e illusioni individuali che solo adesso stanno mostrando la corda. Tuttavia la distanza tra chi vorrebbe un’insurrezione, magari anche pacifica oppure il ricorso alla disubbidienza civile e i partiti tradizionali che cercano di governare con la maggiore percentuale possibile e dunque con il maggior compromesso impossibile, fa sentire ancora gli echi di quell’11 settembre del 1973.

E riapre le ferite e le angosce ancora non risolte per le sorti della democrazia. Ma anche la vertiginosa emozione che il futuro, il nostro futuro va tutto inventato.

 


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