Ho sempre creduto che gli artisti, fossero tutti accomunati da una rara ambizione e da un'altrettanto rara paura del mondo, quello reale. Come una strana dicotomia che include paura e coraggio. Questo potrebbe spiegare perché io, ad esempio, pensavo a Dante (da bambina), e sapevo che in qualche modo quelle strane foglie d'alloro, dessero a lui, e a me che lo guardavo sulle più note raffigurazioni, una su tutte quella del Botticelli, una forza enorme. Come fa la ragnatela con Spider-Man, per intenderci. Un'arma più che un vezzo "fashion". Una bolla magica all'interno della quale egli si rifugiava. Questo facevano gli artisti, per me. Si ritagliavano un pezzo di mondo, e con esso provavano a spiegarsi quello vero. A volte trattandolo con cura, altre rinnegandolo con la veemenza del combattente, oppure con ironia e provocazione. In ognuno di questi casi, ciò che ne viene fuori, è quasi sempre un'opera d'Arte.
Bella o brutta, che si capisca o meno. Infatti qualcuno una volta disse che l'Arte, sta negli occhi di chi la osserva, e io ci credo.
Durante il mio viaggio a Parigi ho pensato molto a questo. Circondata da capolavori artistici, pittorici e monumentali, davvero non sapevo dove guardare, né tantomeno cosa scegliere tra tutta quella bellezza, pur di prenderla e farla mia. Se vi dicessi che scegliere non è mai stato così difficile, mi credereste?Se siete stati a Parigi, immagino di sì.
Quando scoprii che a Montmartre c'era l'esposizione dedicata alle opere di Salvador Dalì, ebbi come un fremito. D'un tratto mi sentii più leggera e rarefatta, euforica, e di corsa mi fiondai nel cuore del quartiere degli artisti.
Per quanti non conoscessero la sua storia, mi sento se non altro in dovere di ricordare che, Dalì (Figueres 1904 - Figueres 1989*), ebbe modo di costruire la sua carriera, o meglio, la sua evoluzione artistica, attraverso piccoli impulsi derivati da drammi familiari. Il primo e più significativo credo, la morte del fratello avvenuta pochi mesi prima della sua nascita. Si chiamava Salvador, il padre lo amava tanto da confessargli che, di fronte alla piccola tomba, egli ne era la reincarnazione. Da qui la decisione di mettergli lo stesso identico nome. Poi la perdita della madre, quando Dalì era ancora molto giovane, aveva sedici anni."È stata la disgrazia più grande che mi sia capitata nella vita. La adoravo...Non potevo rassegnarmi alla perdita di una persona su cui contavo per rendere invisibili le inevitabili imperfezioni della mia anima".
L'aspetto più incredibile dell'arte di Salvador Dalì, è la sua mescolanza di generi. Nel senso che lui prendeva da quante più parti poteva, e raggiungeva la perfetta armonia che sposasse le sue idee, i suoi concetti altrimenti inesprimibili. Dallo stile realistico e monumentale al dadaismo e al cubismo. Le amicizie significative, con Picasso, Federico García Lorca e Luis Buñuel. Il 1929 fu un anno importante per Dalì, la realizzazione di Un chien andalou con Luis Buñuel, l'incontro con la sua musa e futura moglie Gala, e l'inizio del Surrealismo, nel quartiere parigino di Montparnasse.
Dalì, era molto affascinato dalla figura di Alice, così, oltre a realizzare disegni (che potete scorgere in secondo piano), decise di dedicare alla bambina, simbolo assoluto e puro della curiosità, questa scultura. Un'opera bellissima che vede Alice ricoperta di rose in testa, al posto dei capelli e sulle braccia, al posto delle mani. Il viso ricoperto di foglie, al collo le radici. Il passaggio dall'età bambina (la corda che tiene in mano ne è la prova) a quella di una donna. Bella, come un fiore che sboccia.
Senza appesantirvi ulteriormente, evitando pure di improntare troppo l'articolo sulla lezione di Storia dell'arte, diciamo che il Surrealismo potrebbe essere immaginato come il manifesto di un grido irrazionale che distrugge ogni convenzione sociale. Partendo dalla "Bibbia" di Freud, L'interpretazione dei sogni, fino a strofinare la realtà per mezzo dell'inconscio, la parte di noi che vive e respira mentre sogniamo.Insomma, con Dalì ti chiedi quale sia la parte di te più vera e dove realmente vadano gli occhi e la curiosità, seppur in forme inconfessabili e intime. Inizi a vedere il mondo con gli occhi di chi ne "spezzetta" l'essenza, pur di ricavarne di più, sempre di più, il meglio o il peggio, non importa. E Dalì questo lo sapeva bene, tanto da averlo messo in pratica per mezzo della sua assoluta dote artistica. Pittore, scultore, disegnatore, cineasta, scrittore, sceneggiatore. Dalì era tante cose insieme, e tutte incredibilmente affascinanti. Ho avuto la fortuna di sfiorarne la bellezza, ammirandola in tutte le sue forme, all'esposizione permanente di Montmartre. Disegni, sculture e oggetti surrealisti attorno a me. E io viaggiavo come si fa durante i sogni ad occhi aperti, con questa immagine fissa davanti a me, di un uomo strano con dei baffi insoliti e pungenti, poggiato con leggerezza sul suo bastone dell'esistenza.
Le sculture che Dalì ha realizzato, ispirandosi ai rispettivi dipinti, il più noto La persistenza della memoria, si trovano proprio lì, a Montmartre. E io li ho visti. Li ho immortalati con la mia reflex, ci ho pensato su per una settimana, ne sono uscita rinnovata e appagata, ho capito un po' di più di un artista per molti criptico e incomprensibile. E invece trovarsi lì, significa capire molte cose, come quando entri a Louvre e vedi La Gioconda davanti a te. Tutto è diverso, le chiacchiere della gente si ammutoliscono, il mondo si ferma. Conta solo quello che ti separa dall'Arte. Uno spazio impercettibile che si fa grande o piccolo, a seconda delle onde delle tue reazioni. Tutto ciò che di interpretabile, ruota attorno agli orologi molli di Dalì, è una fonte di ispirazione e stupore sorprendente. Alla base dei suoi orologi c'è un concetto di tempo che è impossibile afferrare, fissare, capire. Razionalmente il tempo non si può valutare, ecco perché gli orologi/il tempo, si afflosciano nell'aria e nello spazio, lasciando il posto ai soli ricordi, a ciò che viene elaborato dall'inconscio. Ed è quello che conta. Quante volte dimentichiamo cosa abbiamo mangiato a pranzo, oggi, e invece ricordiamo benissimo quanto accaduto magari vent'anni fa? La memoria è persistente, il tempo come elemento razionale, no.
Ricorderò di oggi, senza ombra di dubbio, la storia di un uomo visto di profilo. Il volto ha l'aspetto di un orologio da parete, e una lacrima "cola" dall'occhio. Un baffo spicca a definire una fisionomia ben precisa. È Salvador Dalì, l'uomo che studiò perfino la teoria della relatività di Einstein, e trovò la sua risposta in un buon Camembert...
*Dalì morì nel 1989, mentre ascoltava il suo disco preferito. Il Tristano e Isotta di Wagner.