Pubblicato da linnioaccorroni su novembre 1, 2011
Come possiamo figurarci lo sguardo e il volto del Cristo dostoewskiano, quello che oppone un immacolato silenzio all’arringa fluviale del Grande Inquisitore? Quel volto, visto che ogni artista inventa inconsapevolmente i propri precursori, lo ha ritratto mirabilmente Antonello nel suo ‘Salvator Mundi’, oggi alla National Gallery, secoli prima che l’autore russo concepisse la famosa leggenda raccontata da Ivan Karamazov. Proprio quel volto impalpabile ed inquietante, che spalanca interrogativi vertiginosi ed eterni, che ci interroga e ci fruga dentro con la sola forza del suo viso, assurto a dimensioni giganteschi, fa da sfondo a “ Sul concetto di volto del figlio di Dio”, ‘spettacolo’ della Socìetas Raffaello Sanzio.
“Circa 200 integralisti cattolici si sono radunati nei giorni scorsi a Parigi davanti al Théâtre de la Ville, mostrando crocifissi, rosari e bandiere per protestare contro uno spettacolo ritenuto blasfemo. “Signori spettatori, oggi assisterete a una bestemmia e noi siamo qui per rimediare ai vostri peccati”, ha urlato il sacerdote Xavier Beauvais, della chiesa tradizionalista parigina Saint-Nicolas-du-Chardonnet, rivolgendosi al pubblico che entrava in teatro dopo essere stato perquisito dalla polizia. “Non siamo cattivi fondamentalisti, integralisti”, ha aggiunto, “siamo cattolici, fedeli alla fede cattolica, che veniamo a manifestare contro la bestemmia”. Gli integralisti reputano offensivi gli ultimi minuti dello spettacolo, quando il volto gigante di Cristo sembra sporco di escrementi, espressione delle sofferenze dei due personaggi, un vecchio incontinente e il figlio che lo lava e lo cambia” ( La Stampa, 30/10/2011)
Come un anonimo scalpellino delle Apuane contento in cuor suo perché in fondo anche lui ha avuto a che fare con la medesima materia con la quale Michelangelo realizzava i suoi capolavori: solo che stavolta ci si trovava sporcati non dal bianco allucinato delle cave di marmo, ma dalla cupezza oscura e fetida, al netto di ogni possibile appeal o consolazione, della ‘cosa naturale’: la merda. Più o meno così mi sono sentito, quando, scorrendo sull’ Espresso dell’agosto 2010 un’anticipazione del nuovo ‘spettacolo’ della Socìetas Raffaello Sanzio, apprendevo che “Sul concetto di volto del figlio di Dio”, la nuova produzione della compagnia fondata da Romeo Castellucci, riproponeva, sorta di calco in forma scenica, la medesima tematica che avevo trattato nel mio libro, da tempo terminato ed in attesa di stampa. Per fortuita coincidenza, il mio ‘Ricci’, infatti, come accade per la messa in scena della Socìetas, si può ridurre essenzialmente alla storia di un padre, di un figlio, la cui relazione filiale passa, come tramite materiale e simbolico, attraverso l’Interdetto per eccellenza, il Rimosso per antonomasia, l’Espulso e l’Ignominioso, lo Scarto e la Deiezione, la materia che più ci disgusta e nausea perché allegoria della corruzione e della putrefazione: la merda.
Sono convinto che il vero scandalo dell’opera di Castellucci, che peraltro ancora non ho visto, non sia nella gigantografia ‘umiliata ed offesa’, secondo i fondamentalisti cattolici, del Salvator Mundi di Antonello. Piuttosto mi sembra di capire che ciò che più disturba nella rappresentazione della Socìetas, tanto che, con un odioso atteggiamento censorio, si vorrebbe cancellarne persino la possibilità della sua messa in scena, sia l’inquietante oggetto transazionale attorno a cui si coagula la relazione filiale fra quelle due figurae Christi che sono, nella rappresentazione della compagnia teatrale cesenate, il padre ed il figlio. Fulcro e matrice di questo rapporto è una materia che a tutt’oggi desta scandalo, irritazione, ripugnanza. Siamo nell’età della civile tolleranza e della vittoria del pensiero liberal, certo, ma il benpensantismo ipocrita, più o meno contaminato da rigurgiti integralisti e nazistoidi, non riesce a sopportare il fatto che sulla scena l’invasiva presenza della materia fecale possa divenire il centro di uno scambio, di una reciprocità affettiva, di un sodalizio domestico e parentale. Non si accetta che per questi due uomini maturi, – l’uno per drammatica esperienza personale , l’altro per sofferta prefigurazione di un destino prossimo- la merda rappresenti il simulacro, il più malsano e putrido, della decadenza, della rovina e del disfacimento fisico che ci attende tutti, prima o poi. Ma si sa: l’uomo contemporaneo ripudia le contingenze biologiche che non desidera: vorrebbe non essere defecatore, non essere mortale. Persino troppo facile e scontata la riflessione su quell’aggiunta vocalica ad evidenziare come tra la scienza che si occupa dell’ultimo destino dell’essere umano(E-scatologia) e la quotidianità del residuo fecale (Scatologia) c’è invece una profonda liason densa di significato: tanto più in una società ossessionata dalla pulizia olfattiva, dalla odorosità e gradevolezza a tutti i costi, tanto che la produzione ineliminabile e quotidiana di escrementi è assimilata quasi ad una specie di sconfitta della scienza. O visto che si caga, lo si dovrebbe fare come nell’immaginario a cui alludono quegli spot televisivi che propagandano lassativi et similia: cagare in una dimensione anosmica ed asettica, tra effluvi di profumi e lavande aromatiche per coprire la puzza dell’Innominata. Eppure basterebbe riaprire quel saggio sulla lucidità che è il ‘De contemptu mundi’ di Innocenzo III per trovare l’inequivocabile definizione di ciò che realmente caratterizza il nostro essere sin dalla nascita: “procreazione impura, nutrimento disgustoso nel seno della madre, fetore abietto, secrezione di saliva, di urina e di escrementi”, validamente corroborato da Sant’Agostino : “inter feces ed urinas nascimus”.