Lo scorso 18 febbraio il “San Francisco Chronicle” riportava la notizia che il “Condom Access Project” avrebbe messo loro a disposizione, e gratuitamente nella posta, preservativi, un qualche tipo di lubrificante (?) e materiale definito informativo. Secondo il quotidiano l’iniziativa arriverà anche a San Francisco. Ora, l’inclusione di questa città sembrerebbe essere superflua, dato che i preservativi gratuiti sono disponibili nelle scuole pubbliche almeno dal 1997. Proprio in queste scuole vige un programma di educazione sessuale quanto mai colorito, il quale prevede di preservare la loro salute tramite certe pratiche quali far indossare agli studenti speciali occhiali che rendono la loro vista leggermente sfocata, al fine di simulare uno stato di ubriachezza, per poi, così agghindati, far loro mettere un preservativo su un apposito pene di legno. Come se il problema delle malattie a trasmissione venerea fosse un mero fatto di “meccanica precauzionale”, oltretutto facendo passare il messaggio sottilmente distorto che sia l’alcool, e non la promiscuità sessuale, in qualche modo la causa prima della trasmissione delle malattie.
Ma, ironia della sorte, risale agli stessi giorni la diffusione dei dati preliminari sull’incidenza delle patologie veneree nella città e nella contea di San Francisco per l’anno 2011. Nonostante questa enorme disponibilità di preservativi gratuiti e ore di educazione sessuale dal 1997, le malattie veneree a San Francisco continuano ad aumentare. Il rapporto, pubblicato dal San Francisco Department of Public Health, ha dichiarato: «I dati preliminari sulle malattie a trasmissione sessuale segnalati mostrano gli aumenti per la clamidia, la gonorrea e la sifilide precoce nel 2011». E perché accade ciò? Perché la nostra società pigra e nichilista patisce un pregiudizio di fondo, e cioè crede al valore paradigmatico del preservativo, tanto che pare essersi convinta fino all’ossessione che il profilattico sia la panacea di tutti i mali. Eppure, contra factum non valet argumentum, dicevano gli scolastici. Particolarmente schierata sull’argomento è la lobby omosessualista, dato che – come ha recentemente dimostrato il “Centers for Disease Control and Prevention” – gli uomini omosessuali coprono il 61% delle nuove infezioni da HIV negli Stati Uniti, nonostante essi siano solo il 2% della popolazione.
Sembrerebbe mancare la percezione delle ragioni fondanti della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili (HIV su tutte), basata spesso su elementi comportamentali, soprattutto la promiscuità sessuale. Ed è proprio questo il punto su cui nessuno incredibilmente vuole soffermarsi, eccetto la Chiesa cattolica: ricordiamo le parole del santo padre Benedetto XVI in Africa, che causarono lo scompiglio generale fra gli intellettuali benpensanti, quando osò spostare l’attenzione dal preservativo verso la fedeltà di coppia e l’astinenza. Non solo aveva ragione, ma, cosa che alla luce dei fatti appare ora ovvia, si è scoperto che addirittura l’uso del preservativo è controproducente: esso incoraggia, infatti, un numero significativo di persone ad avere rapporti sessuali promiscui, alimentando una falsa sicurezza sanitaria e dunque, aumentando le probabilità di infezione. Dovremmo oggi chiederci: è possibile eliminare una malattia legata ai comportamenti umani, senza cambiare i comportamenti stessi?
L’aumento generale di tutte le patologie a trasmissione sessuale, indicano con chiarezza che esse sono l’epifenomeno di un problema ben più ampio, come ha spiegato il virologo Carlo-Federico Perno, una banalizzazione dell’amore e la relativizzazione dei valori come la fedeltà coniugale. Una risposta efficace ed intelligente quanto semplice, invece, l’ha offerta suor Miriam Duggan, laureata in medicina impegnata in Uganda come responsabile medico del St. Francis’ Hospital Nsambya. Nel 1987, ha lanciato il programma di prevenzione Youth Alive per affrontare le cause principali della diffusione dell’HIV ed aiutare i giovani a fare scelte responsabili per non contrarre l’AIDS, dunque basate su fedeltà al matrimonio e astinenza. In questo modo in Uganda (paese in grande maggioranza cattolico), tra il 1991 e il 2001, è stato possibile ridurre del 10% il numero di persone infette (unico stato africano), mentre nel 2002 il tasso di prevalenza di AIDS ha fatto registrare un calo dal 28,9% al 9,8%. Per questo è stata premiata dall’Università di Harvard. Mi sembra questo un grande successo sanitario in primo luogo, ma anche una vittoria culturale ed ennesimo trionfo della verità sulla menzogna dei maliziosi e malintenzionati.
Matteo Donadoni