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San Luca vs. Kyoto Tower

Creato il 11 aprile 2014 da Automaticjoy
Ogni bolognese, scorgendo San Luca all’orizzonte, sa di essere tornato a casa. Una mattina di settembre sono sgattaiolata fuori mentre Dan e Simon giocavano a Beyond: Two souls (da dieci ore consecutive) e mi sono rifugiata in una libreria davanti alla stazione di Shijo-Omiya a fare 立ち読み tachiyomi, leggere stando in piedi. Ho trovato un libro sui colori dell’Italia e quando, sfogliandolo distrattamente, mi sono trovata davanti una foto del santuario, ho sentito nostalgia per la prima volta dopo tanto tempo.

San Luca

La sagoma di San Luca


Non so se i kyotesi provino la stessa cosa per la Kyoto Tower, ma ogni volta che uscivo dalla stazione e riconoscevo la sua goffa sagoma, che grida Anni ’60 da ogni bullone, per me era come vedere San Luca.
Kyoto tower
Gli ultimi mesi sono stati pieni di spaesamento. Spesso mi chiedo che cosa sia il luogo che chiamiamo casa, o meglio quale dovrebbe essere il posto da scegliere come casa.
Kyoto, ormai lo sapete pure troppo bene, per me continua a essere patria del cuore. Non posso fare a meno di chiedermi, però, se sia la città in sé o, più realisticamente, quello che ho vissuto lì. Ho conosciuto amici che sono stati molto più di quello, diventando una seconda famiglia. Avevo un luogo in cui rifugiarmi nei momenti di bisogno e ho ricevuto una quantità di amore incondizionato che mi ha fatta sentire costantemente al sicuro da tutto. Farò nuove conoscenze, non ne dubito, ma non sarà mai più lo stesso.
Il concetto di appartenenza è certamente soggettivo. Ci sono persone che non si sognerebbero mai di allontanarsi dalla propria famiglia, dai legami che ci si porta dietro fin dalla nascita, per cui casa è e sarà sempre il luogo in cui i genitori e i nonni prima di loro hanno costruito le fondamenta della loro vita. È un’idea rassicurante, confortevole, ma non mi appartiene.

Home

Con Dan, Pontus e Maria. Casa.

C’è chi si sposta per mancanza di alternative, o per seguire un’opportunità, con un approccio molto pratico che un po’ invidio e forse prima o poi, controvoglia, dovrò adottare anche io.
Capita di scegliere per stare con qualcuno di cui non possiamo fare a meno. Per alcuni significa restare, per altri partire. Questa è forse la più delicata tra le decisioni, quella che meno di tutte si può giudicare,  perché l’equilibrio tra le proprie aspirazioni e l’amore è fragilissimo e qualunque strada si prenda il rischio di farsi, e fare, male è altissimo. Davanti a questa scelta, finora, non sono ancora riuscita a fare la cosa giusta.
Esiste poi, non per tutti, un luogo d’elezione che occuperà sempre una parte importante di noi, anche se difficilmente saremo in grado di spiegare il perché. C’è un elemento di idealizzazione, è indubbio, ma c’è anche qualcosa che rimane nonostante i disagi e le difficoltà, una nostalgia perenne ogni volta che si è lontani, come quella degli innamorati. In qualunque altro posto viva, il mal di Giappone non mi abbandonerà mai. Non sono così ingenua da pensare che mi basterà abitare là per essere felice. Piuttosto, forse non sarò più felice di quel sentimento così perfetto e completo né là né altrove, proprio come accade con la fine di un grande amore. Non si torna indietro, ma la distanza fa male.

Uji

Uji, il luogo dove il mio cuore è sempre in pace


A 28 anni ancora non so dove metterò radici, se mai le metterò. Non so se farò pace con i miei portici, se la città dei mille templi saprà ancora darmi quella gioia smisurata, o se circostanze impreviste mi porteranno dove non immagino. Seguirei la felicità ovunque, se solo fossi certa di non sbagliare ancora strada.
Se vi dico “casa”, voi cosa rispondete?

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