«Pi canusciri na pirsuna cià manciari assiemi setti sarmi i sali»
I ragazzi di Regalpetra erano dei mafiosi. I ragazzi di Regalpetra, però, erano anche quelli del campo di calcio, quelli delle parrocchie. Erano gli uni e gli altri. Tra i primi c’era il boss, poi pentito, Maurizio Di Gati e tra i secondi Gaetano Savatteri, fondatore del giornale Malgrado tutto.
Quei ragazzi di Regalpetra Vincenzo Pirrotta li porta tutti sulla scena del teatro Greco-Romano di Catania per il cartellone estivo del Teatro Stabile.
Pirrotta, parte dal 1991, l’ anno del primo omicidio che scatenò la faida che per 17 anni ha insanguinato le strade e le piazze di Regalpetra-Racalmuto. Ripercorre le storie che Gaetano Savatteri ha raccontato nel suo libro, diventa la voce di Regalpetra che da sonnacchioso paese fatto di gente che lavora nelle miniere di sale e zolfo diventa teatro di scontri tra i mafiosi locali di Cosa Nostra e gli agguerriti criminali della nascente Stidda.
I minatori sono i primi a comparire sulla scena. Sporchi, esausti e con i polmoni unchi di suffra cantano un sofferta litania accompagnati dall’orchestra giovanile dell’Istituto Vincenzo Bellini. Con foga e straordinaria potenza Pirrotta scava nelle ferite di quella terra, assiste dai bordi del palco ai funerali, alle processioni e alle ricostruzione delle vicende più importanti di questa storia. Ai suoi serrati monologhi gli altri attori rispondono in coro, fanno sentire la voce del popolo con cunti e canti. Di tanto in tanto Pirrotta, incespica, scivola su qualche parola, prende fiato, ma la narrazione non ne risente. Rimane efficace.
Il regista fa un ritratto caricaturale e ironico dei mafiosi, così Zi Fofò assomiglia più ad un vecchio rincoglionito che ad un boss mafioso e Di Gati sembra uscito dal circo quando chiacchiera del suo passato di barbiere e mafioso con il Giocattolaio di Jhoannesburg, il boss Ignazio Gagliardo, che sulla scena canta facendo danzare le frange del suo ampio vestito ricamato di giocattoli.
Agguato dopo agguato, morto dopo morto il quadro prende forma e il racconto corale ci restituisce un Regalpetra in cui u sangu chiama sangu, dove il sangue dei fratelli assassinati si lava con altro sangue. Lo spettacolo riapre una ferita che non si è del tutto rimarginata, una ferita che brucia fortissimo come se tutto il sale delle miniere di Racalmuto gli venisse versato sopra.
Il pubblico ripercorre i passi dei ragazzi di Regalpetra, le scelte di una generazione che si divide all’improvviso: c’è chi decide di crescere all’ombra di Sciascia (citato più volte) scegliendo lo studio e la legalità e chi all’ombra della mafia sceglie il crimine e il sangue. Pirrotta-Savatteri si interroga, e interroga il pubblico, per capire le ragioni dell’assurda decisione dei suoi coetanei di un tempo, tentando di ricostruire responsabilità collettive e personali. Perché in un piccolo paese come Regalpetra la distanza tra un giovane studente e un giovane barbiere può essere anche più breve di venti passi.
Quei ragazzi di Regalpetra
di Gaetano Savatteri e Vincenzo Pirrotta
regia Vincenzo Pirrotta
scene e costumi Giuseppe Andolfo
musiche originali di Luca Mauceri