Simili ai vampiri, nelle tradizioni più antiche, troviamo creature femminili, tutte accusate di rapire bambini o ucciderli nel sonno; tutte sono coinvolte in una maternità negata.
John William Waterhouse: Lamia (1909)
Prime tra tutte incontriamo le lamie: il mito greco ce le descrive come creature in parte umane e in parte ferine (spesso serpi), ossessionate dai bambini e dai fanciulli, che cercavano di rapire nottetempo. L’origine di tali creature è da ricondurre a Lamia, una splendida regina di Libia e figlia (o nipote, a seconda delle tradizioni) del dio dei mari Poseidone e che conquistò l’amore di Zeus e gli diede molti figli. Il padre degli dèi le concesse il dono di togliersi gli occhi dalle orbite per poi rimetterli a proprio piacere. Scoperta la relazione, la dea Era, moglie di Zeus, uccise la prole di Zeus e di Lamia, portando la regina libica alla pazzia, costringendola da quel momento in avanti a divorare i bambini degli altri. Il suo aspetto attraente le permetteva di essere rassicurante nei confronti dei piccoli e allo stesso tempo di sedurre gli uomini, dei quali amava bere il sangue. Secondo Aristofane tale nome era da ricondurre alla parola “esofago” (λαιμός; laimos), in riferimento all’abitudine della creatura di divorare (e probabilmente ingoiandoli interi) i piccoli che rapiva. Nel Medioevo, lamia divenne sinonimo di strega, mentre nella tradizione della Cappadocia si crede che Lamia fu la prima sacerdotessa del culto di Lilith. Allo stesso modo, secondo altre tradizioni greche, Lamia è indicata al pari delle Empuse come figlia di Ecate.
Simili alle sirene per simbologia e aspetto, sono le arpie, anch’esse figlie di divinità marine. Il mito le vuole relegate nelle isole Strafodi da Zeus in persona, che si serve di loro ogni qual volta gli necessita di perseguitare qualcuno. Anche per queste donne uccello, dalle ali ampie e gli artigli di rapace, il pericolo era dato dal canto dolce, che attraeva le vittime. Esse finivano graffiate, lacerate e fatte sanguinare. La descrizione che se ne fa è quella di creature dal viso femminile (spesso di vecchie, di donne anziane e dal volto spaventoso a differenza delle sirene che conservano i lineamenti della giovinezza) e dal corpo di avvoltoio. Come le sirene, impersonavano la furia dei venti marini. Il loro canto ipnotizzava e induceva la vittima a superare qualunque ostacolo, a perdere di vista qualunque scopo che non fosse quello di raggiungerle. Una volta che la preda si era volontariamente gettata tra le fauci delle arpie, veniva divorata e dissanguata con comodo. Secondo un mito erano proprio questo gli uccelli che infestavano la città di Stinfalo e si nutrivano di carne umana. L’eroe Ercole riuscì a scacciarle nell’impresa relativa alla quarta fatica ed esse, si dice, si nascosero a Creta, in una caverna da cui non uscirono più.
Ancora, l’etimologia del nome Empusa è fatta risalire al significato letterale di “colei che si introduce a forza”. Troviamo una descrizione accurata di queste creature ne “I Miti Greci” di Robert Graves: “Sozzi demoni chiamati Empuse, figlie di Ecate, hanno natiche d’asino e calzano pianelle di bronzo, a meno che, come taluni vogliono, esse abbiano una gamba d’asino e una gamba di bronzo. È loro costume terrorizzare i viandanti, ma si può scacciarle prorompendo in insulti, poiché all’udirli esse fuggono con alte strida. Le Empuse assumono l’aspetto di cagne, di vacche o di belle fanciulle e, in quest’ultima forma si giacciono con gli uomini la notte o durante la siesta pomeridiana e succhiano le loro forze vitali portandoli alla morte.” (Robert Graves, “I Miti Greci”, Longanesi, p. 170).Venivano chiamate “le cagne nere di Ecate” e di questa potente e antica divinità della morte e dei poteri stregoneschi erano le serve e le aiutanti, se non addirittura le figlie. Così come il lupo, anche il cane era associato alle divinità infere o latrici di morte. I riferimenti ai tratti animaleschi equini rimandano agli aspetti di lussuria che le caratterizzava, ma allo stesso modo di tenebra: il cavallo era l’animale associato alla fertile Demetra e al potente Poseidone, ma anche alla potenza regale oscura di Ade così come di Dioniso Zagreus durante il suo soggiorno infero. La tradizione vuole le Empuse si muovessero ad una velocità ultraterrena (concetto che verrà ripreso da Bram Stoker in Dracula con la celebre frase “i morti viaggiano in fretta”) tanto che la loro presenza, così come la morte stessa, risultava improvvisa. Si muovevano su di un cocchio trainato da cani latranti e seducevano chiunque trovassero sul loro cammino, o entravano con la forza nelle case costringendo gli uomini a sfiancanti amplessi fino a condurli alla morte. Succhiavano loro sperma e sangue per poi divorarne le carni. Spesso erano accusate di rapire i bambini in fasce per divorarli nei loro rifugi o per fare di loro dei figli tenebrosi, dal momento che alle Empuse non era concesso donare la vita. Il loro aspetto così poco armonico era da considerarsi terrificante nella cultura ellenica. Il commediografo Aristofane ci mostra come perfino il dio Dioniso rischi la pazzia davanti a queste donne. Portare alla follia era una delle caratteristiche primarie attribuite a queste creature. E non solo a queste.
Scilla Bonfiglioli