(foto di Erik Johansson)
Il terzo santo si chiama Michele, è un arcangelo ritardato con i capelli lunghi e pacifista (senza spade) che prende la metropolitana linea A ad Anagnina e scende a Numidio Quadrato con in bocca le sue parole invisibili per i controllori del paradiso e il suo zainetto peluche a forma di orsetto.
Lo tiene sul davanti così come insegnato dalla sua santa mamma per evitare i malintenzionati e “non parlare con nessuno piccolo, con nessuno!” – con i braccioli del treno, mamma – “sì con quelli puoi, come no!”. Al polso porta un orologio subacqueo trovato tempo fa dentro una scatola di Dash vuota. E poi la sua maglietta arancione e la sua cintura nera ben sopra l’ombelico, e la scritta: “Ma che te lo sei magnato tutto?”, intendendo con questo rivolgersi a ognuno di voi dannati in giacca ed eskimo che parlate di birra e fascicoli d’ufficio mentre lui inghiotte la sua aureola per cagare santità alla faccia vostra, nostra, alla faccia di tutti insomma.
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Il quarto santo l’ho incontrato lungo i binari della stazione Termini, inconfondibile guerriero dal bastone argentato e l’andatura lenta da lumaca benedetta. La visione è durata poco, interrotta dal suo sguardo barbuto e dalla folla impazzita destinata all’inferno.
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