Santo subit(issim)o
Creato il 30 novembre 2013 da Ilbocconianoliberale
@ilbocclib
Alla ribalta delle cronache, ultimamente, troviamo sempre più di frequente due persone: abbiamo un nuovo idolo delle folle, che occupa in pianta stabile le prime pagine dei giornali osannato da tutto l'arco parlamentare, grandi e piccini, belli e brutti, buoni e cattivi; e abbiamo un capo di stato estero di grande risonanza mediatica che da tempo porta avanti una crociata contro il moderno spauracchio agitato per convincere i bambini a comportarsi bene: il famigerato, temibilissimo, mercato. Niente di nuovo sotto il sole del Bel Paese, se non fosse che la notizia è tutta nel fatto che le due persone sono riunite nella figura già santa (a tempo di record) di Papa Francesco. Recentemente il gesuita arcivescovo di Roma ha deciso di alzare il tiro, tuonando contro la "nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, di un mercato divinizzato dove regnano speculazione finanziaria, corruzione ramificata, evasione fiscale egoista". Eppure il Papa, che di divinizzazione dovrebbe intendersi più di chiunque altro, dovrebbe conoscere bene la differenza tra operare una scelta e seguire un dogma. E pertanto conoscere e capire la marcata differenza tra la sua, di religione, e quella del mercato, che religione non è, ma semplice espressione di libertà: si tratta cioè, come dice Alberto Mingardi nel suo ultimo libro, di "una trama infinita di relazioni nella quale gli errori delle singole parti non inficiano, ma, anzi, rendono possibile il successo del sistema nel suo complesso, [...] è la forma della cooperazione". Nessuna imposizione, nessuna direzione prescritta, nessuna verità calata dall'alto. Non esattamente una religione, insomma. Il pontefice, implacabile, continua: "La crescita in equità esige qualcosa di più. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l'economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi". Tuttavia, a ben guardare non sembra essere così lungi da lui proporre proprio del populismo irresponsabile, dal momento che - a quanto pare - è esattamente quanto sta facendo: fornire spiegazioni banali a situazioni complesse. Non funziona, mai, ed è un'attività profondamente populista e altrettanto irresponsabile. Appunto. Bergoglio, da navigato comunicatore qual è, ricorre ad una dialettica semplicistica assestando un colpo intellettualmente piuttosto disonesto ai sostenitori delle libertà: li dipinge come quelli che vorrebbero i poveri ancora più poveri affinché i ricchi siano ancora più ricchi. Non creda, Santità, di avere il monopolio dell'attenzione alle fasce sociali più deboli. Chi non la pensa come lei non guarda solo a se stesso e gli altri se ne vadano al diavolo - come sottintende una scomposta faciloneria - ma semplicemente propone soluzioni differenti: non è limitando la libertà delle persone che si raggiunge il mitologico bene comune, ma lasciandole libere di cooperare con il minor numero di vincoli possibile, garantendo loro le libertà fondamentali, siano esse economiche o valoriali. Capisco che, dalla guida di un apparato che ha sempre orgogliosamente osteggiato alcune libertà fondamentali, come quella sessuale su tutte, non ci si potesse aspettare che questo. La libertà economica è servita alla Chiesa di Roma fin quando è stata comoda. Ma adesso servono consensi facili, adesso serve vestirsi di un pauperismo ridicolo e francamente poco credibile e serve, quindi, prendersela con il mercato. Si ricordi, Santità, che quel mercato, senza che nessun custode della pubblica morale lo decidesse, ha aiutato molte persone a stare meglio e ha arricchito quell' agognato bene comune più di quanto non abbiano fatto le sue pontificazioni. E mi si scusi il termine, ma non c'è offesa nell'appropriatezza di linguaggio. Francesco Del Prato
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