Ben venga lo scazzo tra Santoro e Travaglio se può mettere in luce lo stato dell’arte dell’informazione in Italia e i motivi per i quali il cane da guardia dello democrazia è diventato un mansueto pelouche. Certo nell’universo bonsai dell’editoria italiana, strettamente legato alla politica, è difficile entrare o fare carriera senza santi in paradiso e senza spinte, come del resto in quasi tutte le arti liberali di trivio e quadrivio, ma anche chi – e sono molti più di quanti non si creda – fa assegnamento sulle proprie capacità, finisce per cadere in un meccanismo che lascia poche vie d’uscita.
La vera ragione della lite tra Santoro e Travaglio, c’entra ben poco con Burlando e con la difesa d’ufficio di uno dei personaggi politici più mefitici degli ultimi trent’anni, consiste nel fatto che il primo per fare la propria trasmissione, secondo i canoni intoccabili del talk, deve invitare i politici. Ma questi ultimi, di solito liberi di dire qualunque castroneria senza alcun valido contraddittorio, non vogliono venire con un Travaglio che si presenta sempre ben documentato e che mena fendenti. Perciò Santoro tende a spostare sempre più in avanti nella notte l’intervento del condirettore del Fatto Quotidiano, per convincere la compagnia di giro politica ad intervenire senza per questo privarsi della macchina da audience di Travaglio. E’ ovvio che la tensione finisca per sfociare nella rissa, soprattutto se i dati d’ascolto non sono favorevoli .
Questa logica domina tutto il panorama dell’informazione: per fare carriera, per acquisire visibilità, il giornalista deve avere un buon rapporto con il politico (e i suoi famigli) che lo gratifica di interviste, di indiscrezioni, di “dritte”, in qualche caso di esclusive, però solo a patto di riceverne benevolenza, indulgenza, amicizia. Altrimenti si rivolge ad altri. Qualcosa che col giornalismo non ha nulla a che vedere. Insomma non puoi seguire Renzi se sei obiettivo su Renzi o Alfano se critichi Alfano, devi trasformati da giornalista a fan e questo vale per qualsiasi personaggio, anche al di fuori dell’ambito politico, fosse pure il vincitore del grande fratello. Così che se a marchiare i reprobi non ci pensa il sistema editoriale in via diretta, a convincere gli incerti ci pensa il meccanismo di ricatto che affonda le radici nelle sentine del servilismo nazionale.
Travaglio e pochi altri sono riusciti a salire sul carro dell’opposizione a tutto tondo al tempo del berlusconismo imperante e trionfante, ne hanno fatto un mestiere che oggi però appare in crisi visto che l’opposizione è scomparsa. Tanto che alcuni di essi non si vedono più, altri incuranti del presente, continuano a bazzicare il recente passato timorosi di perdere prebende, altri che facevano satire preventive ormai stracciate dalla realtà, sono divenuti benpensanti e presidiano l’ultima spiaggia come fosse un arenile privato. La normalità è un’eccezione.
Del resto se non sei così non ti invitano di certo ai talk show: se rompi i coglioni più di tanto, se osi chiedere ragione di qualcosa, se metti in luce la cialtroneria, rovini il casting. La polemica è ammessa solo se si basa sui luoghi comuni o sulla fuffa mai spiegata: non si tratta di fare informazione, ma spettacolo. Ecco perché a beccarsi la busta che va dai 1000 ai 500 euro si trovano relitti del politichese, clientes che paiono maggiordomi, firme quattrostagioni con doppia mozzarella, vecchi marpioni riconvertiti e innocui. Utili per mettere in scena la messa cantata del nulla e della chiacchiera. Dopo tutto meglio distrarre che rischiare di far pensare.