« Le difficile en littérature, c’est de savoir quoi ne pas dire » Gustave Flaubert.
Questa è una frase che ho pescato da un tweet della casa editrice Gallimard. Vogliamo aggiungere qualche cosa?
Lo afferma Flaubert e non possiamo aggiungere molto altro. In tempi di sovrabbondanza, di gente che grida, urla, e immagina che si possa avere ragione o capire, grazie all’urlo; o all’accumulo di concetti. A me pare chiaro.
Si è persuasi che lasciando degli spazi, dei buchi, i concetti non possano essere forti. Bisogna spiegare tutto, offrire la soluzione. La letteratura migliore invece agisce in maniera differente.
Sceglie. E non è facile avverte Flaubert. Non dire significa possedere la capacità (il talento) per evocare nella testa del bravo lettore, quello che serve. Sì, sotto certi aspetti la letteratura che conta è imparentata con la magia.
Il bravo lettore: averne, ma sono pochi. Non è questo il punto.
Flaubert dice che occorre sapere. Non si tratta di volontà, fortuna, Muse che bussano alla porta e propongono quello che ci serve. Alessandro Manzoni spiegava che era necessario “Pensarci su”.
Il termine “sapere” arriva dal latino, vuol dire aver sapore, poi anche capire, essere saggio.
Fermiamoci un attimo al primo: “Avere sapore”. Occorre misura, perché se si eccede si diventa sapidi, oppure insipidi. Di questi tempi mi pare che non avere alcun sapore sia considerato qualcosa da perseguire e adottare con determinazione.
Sapere non è solo conoscere, avere delle nozioni che lo studio ci ha regalato. Questo è uno sterile esercizio intellettuale, che non ha impedito a migliaia di persone ammiratrici del Rinascimento e di Leonardo, di mandare a morte altre persone.
È avere la consapevolezza che la realtà non è un piano sul quale far scorrere lo sguardo invecchiato dalle letture; bensì una faticaccia.
Perché richiede osservazione. Capacità di discernimento. Questo sì, quest’altro no.
« Le difficile en littérature, c’est de savoir quoi ne pas dire » Gustave Flaubert.
Appunto.