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Tra le più affascinanti figure della filosofia antica, oltre agli oscuri Eraclito e Pitagora, spicca per popolarità, mistero e soprattutto per l'attuazione di una concreta filosofia, Socrate.Personaggio avvolto da mistero per non aver lasciato nulla di scritto; di lui abbiamo solo testimonianze, presenti in Aristotele, Senofonte, Aristofane e Platone.È grazie a quest'ultimo, suo allievo, che abbiamo fonti certe della sua esistenza e del suo pensiero.Protagonista "feticcio" dei primi dialoghi platonici, il documento di maggiore importanza che testimonia la sua grandezza è "L'Apologia di Socrate". Il testo, scritto qualche anno dopo la sua condanna, riprende fedelmente la difesa pronunciata da Socrate stesso, durante il processo che lo incriminò dei seguenti capi d'accusa :" Socrate è colpevole di corrompere i giovani e di non credere a quegli dei in cui crede la Città e di introdurre nuove divinità". L'epilogo del processo si chiuse a favore degli accusatori (Meleto e Anito) e il filosofo fu condannato ad ingerire la Cicuta. È proprio durante il processo che Socrate spiega (implicitamente) su cosa è incentrata la sua filosofia. Il tutto parte da una sentenza dell'Oracolo di Delphi, che lo aveva definito il più sapiente tra tutti gl'uomini. Naturalmente il filosofo si mostrò incredulo e allora decise di smentire quanto sentenziato dall'Oracolo.Dopo questo avvenimento Socrate si rivolse a coloro che si ritenevano sapienti, dapprima andò dai politici, che si dimostrarono del tutto inadeguati a tale appellativo, perché in loro era assente la concezione del bello; quindi interrogò i poeti, i commediografi e i tragici, rendendosi conto di essere in possesso solo di entusiasmo, ma addirittura erano i meno adatti a spiegare quanto avessero scritto.L'ultima tappa fu quella di interrogare i technitai (specialisti delle arti manuali), ammettendo che questi erano si, sapienti, vale a dire conoscitori di un'arte che loro potevano creare e modellare a loro piacimento, ma che non potevano fregiarsi di questo titolo perché volevano andare, illegittimamente contro i limiti fissati dalle loro conoscenze. Dopo aver fatto tutto questo, Socrate poté solo accettare questa singolare sentenza e da allora, dedicò tutta la sua vita ad aprire le menti dalla loro clausura.
"Sapere di non sapere", questa è la chiave del pensiero scoratico. Questa piccola frase esprime in se un'ammissione d'ignoranza e, il sapere di non essere sapiente, ma soprattutto il non essersi mai definito tale lo rendeva paradossalmente sapiente. Non a caso le sue azioni erano intente a confutare la sapienza degli altri e guidarli verso il concetto della giusta natura dell'uomo, che collocava nella psyche (anima). Secondo Socrate l'uomo si occupa di ciò che ha,mentre in realtà deve occuparsi di ciò che è, e per conoscere ciò che siamo dobbiamo occuparci della nostra anima, curarla, in modo che essa diventi migliore il più possibile.L'anima può essere migliorata solo se si conosce la virtù, sostenendo "che la virtù non nasce dalle ricchezze ma che dalla virtù nascono tutte le ricchezze e tutti i beni degli uomini, sia in privato sia in pubblico". Il filosofo dunque, voleva guidare l'uomo sulla strada che lo portava alla conoscenza della virtù, egli era convinto che "il bene più grande dell'uomo è fare ogni giorno ragionamenti sulla virtù", discutere e sottoporre ad esame se stesso e gli altri perché "una vita senza ricerche non vale la pena di essere vissuta".
Socrate quindi ha espresso tutto il suo volere che era reincarnato nella nostra anima e, come i suoi interlocutori, possiamo ispirarci a lui ricercando noi stessi e curando la nostra anima,affinché essa ci porti il bene più grande, racchiuso nella consapevolezza di essere uomini intelligenti.Solo la cura verso la nostra anima e noi stessi può permetterci di conoscere o diventare buoni o cattivi.
Dante CianiArticolo originale di Sentieri letterari. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore. I contenuti sono distribuiti sotto licenza Creative Commons.
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