La “capitale morale” d’Italia non esiste più. È diventata una “ex”, come le mogli di Berlusconi e di Casini, dopo essere passata sotto le forche del craxismo, della Lega, di Forza Italia e infine del Partito dell’amore (per il Capo) e delle libertà (del Capo). Arrivati al punto in cui perfino Pillitteri e Formentini appaiono statisti di una levatura fuori dall’ordinario paragonati alla signora Moratti, Milano sembra più una vacca da mungere che non una città guida e faro dell’economia, della cultura e della moda. Celebrazioni di Dolce &Gabbana a spese della collettività a parte, mai come in questo momento la città della “madunina” e dei modelli di alabastro che volano, appare come un territorio “franco”, un’enclave nella quale il malaffare regna incontrastato e i “mammasantissima” vivono esattamente come si trovassero a Reggio Calabria, Palermo, Casal di Principe, Bari e nella Piana di Agrigento. Non più di un anno fa, Letitia disse: “La mafia a Milano? Fatemela vedere”, facendo il verso ai coattoni romani del “faccela vedé faccela toccà”. Poteva un desiderio così morboso della sindaca restare insoddisfatto? I magistrati milanesi hanno pensato di esaudirla e, con un blitz notturno, non solo le hanno dimostrato che c’è ma che governa, divide et impera meglio che sulla Sila. Per dimostrare che la Milano ormai “bevuta” sa reagire, e che dispone di un tessuto sociale e imprenditoriale di proprietà non solo della ‘ndrangheta, ieri Letitia, che alla Bindi non invidia solo l’intelligenza, ha provato a intitolare a Falcone e Borsellino i giardini di via Benedetto Marcello. In verità quella targa doveva essere scoperta già dal 2002 ma chissà perché, chissà per chi e forse per non infastidire i graditi ospiti calabro-siculi, è stato fatto solo ieri e grazie alla protezione assicuratagli dall’ormai bodyguard più famoso del governo che risponde al nome di Ignazio La Russa. A rovinarle la festa ci hanno pensato quelli di “Qui Milano Libera”, che sono i tipacci che accompagnano quel gran scassapalle che risponde al nome di Pietro Ricca. Per una volta silenziosi durante la scopertura della targa a Falcone e Borsellino (un inequivocabile segno di rispetto nei confronti dei due magistrati), finita la cerimonia hanno provato a fare a Letitia una sola domanda: “Sindaco ma a Milano la mafia esiste o no?” Alla quale ha risposto Ignazio La Russa invitando un manifestante a cambiarsi la maglietta rossa per un nero più sobrio. Ma Milano, ieri, avrebbe dovuto vivere un altro appuntamento di fondamentale importanza per la città, per la provincia, per la regione, per la nazione, per il mondo civilizzato e l’universo spazio: la consegna del premio Grande Milano a Silvio Berlusconi. Questo riconoscimento allo “statista di rara capacità”, come lo definisce nella motivazione il suo dipendente Podestà, presidente della provincia, doveva essergli consegnato fra le guglie del Duomo, di fronte a 500 preventivati ospiti che si sarebbero dovuti autotassare di 2000 euro a testa per terminarne il restauro. A conti fatti, i presenti erano 150 che, com'è facile intuire, non rappresentano propriamente un bagno di folla. Se poi quelli che hanno atteso per ore l’arrivo del presidente del consiglio (fra cui Charles Aznavour con cui avrebbe dovuto duettare), rispondono al nome di Emilio Fede, Fedele Confalonieri, Ennio Doris, Ignazio La Russa, Mariastella Gelmini, Sandro Bondi, Roberto Formigoni e Letitia Moratti trattasi di lecchinaggio e non di riconoscimento di meriti. Insomma, quella di ieri per Milano, per Letitia e per Berlusconi doveva essere una giornata campale, iniziata di buon mattino con la visita all’Università telematica del Cepu e che sarebbe dovuta terminare al tramonto, con il profilo di Silvio che si stagliava virile all’orizzonte, con il sol dell’avvenire in fase discendente. E invece è stato un flop. Al mattino Silvio, invece di parlare di prospettive, di formazione e di ricerca con i giovani dell’Università, ha preferito decantare la bellezza delle giovani laureate (d’estate il testosterone tende ad aumentare), di sottolineare con la solita battuta da caserma il non appeal di Rosy Bindi e di mettere ancora una volta in ridicolo la laurea di Di Pietro. La sera, invece di trovarsi sul palco a duettare con Aznavour, si è trovato ancora fra i piedi i suoi di sempre. A cantare “Ne me quitte pas” stavolta ci ha pensato Emilio Fede.
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Sapessi com’è strano…far politica a Milano
Creato il 20 luglio 2010 da Massimoconsorti @massimoconsortiPossono interessarti anche questi articoli :
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