Non sappiamo se il mese di giugno dell’anno calcistico 2012/13 rimarrà nella storia dello sport più seguito al mondo come vagito iniziale di una sorta di “primavera brasiliana” del pallone o se verrà confinato nella sezione che ricorda statistiche e risultati. Fatto sta che quanto accaduto in questi giorni solo alcune settimane fa sembrava inimmaginabile.
Il mese comincia con un po’ di polemiche relative alla disputa della fase finale degli Europei Under 21 in Israele. La scelta della UEFA è avversata da movimenti che si battono per i diritti dei palestinesi, contestata da un giocatore di statura mondiale come Drogba, ma avallata dal capo Platini, che invita a parlare di calcio e non di politica, e tacitamente difesa da tutte quelle federazioni che mandano la propria nazionale in Israele senza batter ciglio. Italia inclusa.
Il fattore sportivo prende il sopravvento, anche se resta il sospetto che un torneo calcistico sia stato ancora una volta usato come mezzo per sdoganare presso l’opinione pubblica una nazione a dir poco chiacchierata e come strumento per certificare che l’imperante visione politica economica sociale impersonata ora dagli organismi sportivi internazionali ora dall’élite finanziaria non teme nessuno.
Eppure il giorno in cui una fortissima giovane Spagna travolgein finale una buona giovane Italia e l’attenzione si concentra sulla FIFA Confederations Cup, appena iniziata in Brasile, accade qualcosa che in pochi si aspettano. A Rio, a Belo Horizonte, a Salvador de Bahìa, in concomitanza con la disputa dei match della manifestazione che funge da prova generale per i Mondiali la gente è in piazza a protestare contro la politica governativa che indirettamente sta costringendo le classi meno abbienti a pagare i costi della costruzione delle infrastrutture che ospiteranno i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016. La narrazione mainstream parla di rivolta contro il carotrasporti, ma in realtà già da alcuni mesi le proteste sono in corso a riflettori spenti, almeno dal momento in cui a inizio 2013 molti indios sono stati costretti a traslocare per la costruzione del nuovo Maracanà.
L’impatto è scioccante. Nel paese in cui il calcio è una religione è in atto una rivolta sociale che si sta alimentando grazie a un diffuso sentimento anti-Mondiale 2014, proprio la manifestazione creata al fine di cancellare a più di sessanta anni di distanza l’incubo collettivo del Maracanazo. Persino giocatori simbolo come Hulk e Neymar si sentono in dovere di rilasciare dichiarazioni, per loro natura ambigue perché improntate alla solita dialettica manifestanti buoni-manifestanti violenti, ma di sostanziale sostegno alle proteste.
Per chi sta dall’altra parte dell’Oceano (e non può tastare con mano quali siano le forze in gioco) interpretare la rivolta in corso in chiave diprospettive future della nazione Brasile può essere rischioso. Resta però la possibilità di analizzarne la portata globale a livello di politica sportiva.
La Confederations Cup 2013 è infatti la prima manifestazione voluta da un grosso organismo sportivo che fallisce nel suo intento più subdolo, quello di propugnare un mondo pacificato basato sui diritti per tutti (vedi la lotta al razzismo che è diventata un must FIFA) e sullo sport come strumento per appianare le controversie (vedi il nuovo slogan FIFA For the Game, For the World, e lo spot in cui palestinesi e israeliani – guarda un po’ che coincidenza- giocano insieme). Un mondo però in cui a ottenere introiti commerciali e a beneficiare del lievitare dei costi della costruzione delle infrastrutture necessarie sono i soliti pochi.[1]
Non è un caso se un giornalista embedded come Marco Mazzocchi dichiara con ingenuità che dentro al nuovo Maracanà pare di essere dentro il nuovo stadio di Kiev o il nuovo stadio di Varsavia. Perché il modo in cui la FIFA ha progettato il Mondiale 2014 è simile a quello con cui la UEFA ha programmato l’Europeo dello scorso anno e non tanto diverso da quello con cui le potenze occidentali progettano gli interventi umanitari: andiamo là, distruggiamo ciò che c’è e ricostruiamo il tutto a nostra immagine e somiglianza, e a nostro profitto.
Non vogliamo, però, concludere questo post senza dare anche un resoconto sportivo del mese appena trascorso. Il Brasile ha vinto la sua quarta Confederations, la terza consecutiva, tra il tripudio di una folla di tifosi che ha appoggiato la squadra e i giocatori anche perché i giocatori, come detto, non hanno sparato a zero contro le proteste in corso che hanno ispirato cori e striscioni anche all’interno degli stadi. Un Brasile che ha tanti punti di forza: da Julio Cesar, che parando sullo 0-0 il rigore a Forlan in semifinale ha cominciato l’opera scaccia-Maracanazo, a David Luis e Thiago Silva, per i quali basta solo il nome; da un centrocampo che in finale ha dimostrato anche di saper pressare e mettere in crisi il gioco spagnolo a un attacco che ha in Neymar la sua giovane stella (per lui ben quattro gol). È apparso fortissimo persino un giocatore come Fred, che alla fine ha realizzato cinque gol tra cui una doppietta decisiva nel 3-0 in finale alla Spagna!
Il saluto di Tahiti
Le furie rosse, dal canto loro, escono sconfitte da una grande manifestazione a quattro anni di distanza dalla Confederations Cup 2009, sconfitte sì ma solo in finale. A testimonianza che Del Bosque non deve sentire troppo la manifestazione e che, comunque, in Europa sono la squadra da battere e l’Europeo Under 21 ne è la dimostrazione: una kermesse dominata dai giovani spagnoli che hanno ottenuto cinque vittorie in cinque incontri e in finale hanno battuto 4-2 gli azzurrini grazie a una tripletta di Thiago Alcantara, il figlio del brasiliano Mazinho campione del Mondo nel 1994, nato a Lecce quando il papà giocava in Salento.
Gli azzurri da Gerusalemme a Fortaleza devono lasciare il passo alla Spagna, ma la nazionale maggiore solo ai rigori e dopo aver lungamente messo in ambasce la retroguardia iberica: la parata di Casillas su Maggio, il palo di Giaccherini nel primo tempo supplementare, l’incertezza di Buffon sul tiro di Xavi che termina sulla traversa nel secondo supplementare, il rigore alto di Bonucci e il gol di Navas le clip di una partita che nonostante il caldo e l’umidità è stata piacevole. Il bronzo finale conquistato ai rigori contro l’Uruguay (2-2 sul campo) sa un po’ di consolazione, ma in finale col Brasile avremmo avuto poche speranze.
Cartolina finale per gli unici che ricorderanno questa Confederations Cup come la più bella vacanza della loro vita. Parliamo della nazionale di Tahiti che ha mostrato un’impostazione di gioco che a confronto il 4-3-3 di Zeman è difensivista, che ha preso 24 gol in tre partite segnandone uno solo e che si è congedata esponendo un gigantesco striscione Obrigado Brasil al termine dell’ultimo match all’Arena Pernambuco di Recife,
federico
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[1] In realtà anche prima del Mondiale 2010 in Sud Africa vi sono state proteste, ma non hanno ricevuto la stesso eco mediatica (qui).